lunedì 20 luglio 2015

UN'ANTICA SAPIENZA PERDUTA

I più attempati ricorderanno, quei periodi della loro adolescenza, quando in quelle freddose serate d’inverno, quando ancora non esisteva la televisione, insieme con il resto della famiglia ci si riuniva intorno agli antichi bracieri[1], ricolmi di carbone ardente. Ed è lì che i nostri nonni, accovacciati sulla loro sedia preferita e le mani protese verso il calore emanato dal carbone ardente che bruciava lentamente, per smorzare la monotonia d’interminabili silenzi, iniziavano a raccontare le loro favole più belle. Sono delle meravigliose novelle senza età, mai vergate, vissute ai margini della storia umana e, sopravvissute al tempo, rigenerandosi, di volta in volta, a nuova vita nello stesso modo di come la mitologica fenice rinasceva dalle sue ceneri. La storia iniziava sempre, quando ci si accostava soprattutto attorno alla famosa conca[2].



Permettetemi di soffermarmi su quest’utilissimo utensile, adoperato fino a quando, come tante altre cose, è stato soppiantato dai nuovi e moderni “mostri” tecnologici. Eppure fino a qualche decennio addietro questi bracieri avevano una primaria funzione, tanto che ogni famiglia, ricca o povera che fosse, ne possedeva almeno uno. Puliti e lucidati quotidianamente, soprattutto nei mesi più freddi, quasi a rinnovare quell’antico rituale pagano, che per millenni, all’interno degli antichi templi, ha custodito il sacro fuoco[3] degli dèi. Il tempo a volte non ha memoria così con il trascorrere dei millenni il suo significato simbolico e religioso andò perduto, sostituito da una pratica più pagana: riscaldare le abitazioni nei mesi invernali, sostituendo l’olio sacro degli dèi con del comune carbone. Le case si riempirono di fumi acri emanati dalla lenta combustione del carbone che in egual tempo le riscaldava.
In Sicilia e in gran parte del sud della penisola la stragrande maggioranza delle massaie viveva la propria quotidianità in funzione di questi antichi utensili e, ancora oggi, alcuni anziani dell’entroterra siciliano lo utilizzano per riscaldarsi. E quanti dopo una faticosa e freddolosa giornata di duro lavoro rientravano tra le mura del focolare domestico, il calore emanato da quel braciere ravvivava gli animi. Questo è quanto accadeva fino a qualche decennio addietro, ma nell’antichità, alle origini, cioè quando l’uomo scoprì per la prima volta il fuoco e ne comprese l’utilizzo e i benefici che ne poteva trarre, il primo pensiero molto probabilmente fu di custodire quel meraviglioso dono degli dèi. In esso si cela la conoscenza di un’antica sapienza frutto di elaborati rituali magici ed esoterici. La sacralità del fuoco nelle varie epoche storiche ha sempre avuto un ruolo decisivo nei culti religiosi, come importante era il suo contenitore.  
Inizialmente non fu certo di facile trasporto, fu durante la tarda età della pietra e, dopo che gli antichi gruppi familiari iniziarono a formare i primi insediamenti fissi che le prime forme di bracieri in pietra fecero la loro comparsa. La loro realizzazione probabilmente sarebbe avvenuta incavando delle particolari pietre di natura calcarea, utilizzando alcuni strumenti primitivi d’allora, fatti di ossidiana[4].
Di conseguenza e alla luce dei fatti conclamati, il braciere, questo semplice recipiente che custodiva il “sacro fuoco”, dovrebbe risalire al primissimo periodo dell’età del bronzo. Con la nascita delle prime civiltà e l’utilizzo dei metalli, questo contenitore in pietra calcarea, fu soppiantato da quello in metallo, i cui contorni venivano decorati con ornamenti che richiamavano gli auspici della divinità cui il braciere era posto. I custodi del “fuoco sacro” erano i sacerdoti, gli antichi maghi, detentori dei segreti della natura con la quale interagiva, che tra le tante occupazioni avevano anche il supremo compito di alimentare quotidianamente quell’antica fiamma affinché ardesse giorno e notte. E affinché la fiamma fosse sempre candida agli occhi degli dèi, i bracieri dovevano dovevano essere puliti costantemente e con devozione, perché la fiamma nel suo ardere anneriva e incrostava i bordi. Ma esso non serviva solo nelle quotidiane funzioni pastorali dei templi o per illuminare gli ambienti, la sua funzione era anche di riscaldare le case, sia dei ricchi sia dei poveri, nei mesi più freddi. Fu la condizione sociale delle famiglie più umili, che il braciere ebbe un ruolo quasi mistico. E’ in giornate particolarmente fredde, che il calore da esso emanato idealmente richiamava a se i suoi figli, il cui abbraccio lì induceva a rievocare il fato di un tempo passato. 

Ci si riuniva intorno alla conca, dopo il fugace pasto serale, per riscaldarsi e trascorrere ancora qualche ora insieme prima di andare a dormire. La famiglia riunita, il tenue bagliore delle lampade e gli odori del carbone ardente, che lentamente si consumava, risvegliavano, magicamente, antichi ricordi e, a volte, dopo aver esaurito gli argomenti della giornata, il nonno o il papà per spezzare la noia e gli interminabili silenzi iniziavano a raccontare antiche favole. Una ricostruzione di fatti ed eventi così dettagliata che per alcune ore catturavano la fantasia di grandi e piccini. Era un continuo susseguirsi di luoghi e panorami, a volte immaginari e descritti con leggiadra maestria inebriando i cuori di chi ascoltava. Tutta la famiglia, in men che non si dica, pendeva dalle labbra del narratore, ma soprattutto dai tumultuosi eventi che rendevano la trama fitta di misteri, i cui personaggi, buoni e cattivi, magicamente si animavano. E più s’infittiva la trama più ci si sentiva coinvolti, tanto da arrabbiarci se il nostro paladino preferito subiva un torto, o si esultava, quando il bene prevaleva sul male. Erano storie appassionanti, antiche e febbrili, che riempivano i cuori di coraggio, altruismo e fede, ma soprattutto, ci permettevano di affrontare le difficoltà della vita con più armonia. 

Oggi tutto questo è andato perduto; nuove forme di comunicazione hanno soppiantato quel arcano e sano modo di comunicare, i cui celati insegnamenti preparavano i giovani al grande gioco della vita. Ai giorni nostri, invece, le nuove generazioni Hi-Tech non hanno più il tempo e la voglia d’ascoltare. Il consumismo industriale è riuscito a estirpare la più antica forma di comunicazione. Essa era l’unico legame con il passato, con le radici dei nostri avi. Se oggi siamo quelli che siamo, il merito non è soltanto nostro, in ognuno di noi si celano millenni di conoscenza acquisita dai nostri progenitori che ci è stata tramandata da una generazione all’altra, che si è assopita per fare spazio a l’irruento progresso industriale. Così, oggi, per trascorrere il tempo, gli anziani non trovando più chi li ascolta o a chi donare la loro saggezza e conoscenza accumulata durante tutta una vita e, per non perdere l’unico legame che ormai gli rimane, con le proprie origini, continuano a raccontare quest’antica sapienza. Gli unici spettatori sono altri anziani, distratti e stanchi, mentre i loro cuori, che una volta si riempivano di allegria, ora sono tristi, perché, accanto a loro, non c’è più nessuno cui offrire il grande dono della conoscenza antica.


Copyright Angelo Virgillito



[1] Il braciere è un antico catino in rame di forma rotonda, aveva un diametro di circa 50 centimetri e un’altezza di circa 15 centimetri, sul bordo esterno di forma convessa era impreziosito da due manici magistralmente lavorati, anch’essi in rame. Questo braciere era di solito adagiato sul porta-braciere, una struttura in legno circolare, con un foro in mezzo, pari al doppio del diametro del braciere e rialzata da terra per una ventina di centimetri circa. La preparazione avveniva di solito prima del tramonto ed era riempito di carbone o di carbonella (termine usato per differenziare il carbone prodotto da grossi tronchi di legno con il carbone prodotto dalle bucce delle mandorle, che in dialetto siciliano era chiamata “ scorcia”). Una volta riempito, il cui ribocco superava abbondantemente il bordo superiore, il suo contenuto era acceso e fatta ventilare per una decina di minuti o sui davanzali delle case, o nei cortili o per chi era più fortunato sui balconi.
[2] Conca è una forma dialettale per identificare il braciere, probabilmente di radice araba, da non confondersi con la “Concha” – termine latino che stava a indicare il <catino> per lavarsi i piedi.
[3] Il sacro fuoco è una delle tante espressioni comuni per indicare una sacralità del fuoco, sia per ragioni religiose, sia per mera simbologia rituale. Il culto del fuoco nelle culture indoeuropee in epoca storica è fatto risalire a un'antica concezione religiosa naturalista degli indoeuropei, i quali sarebbero un'attestazione del dio vedico Agnis e del culto del fuoco greco e romano. L'importanza del fuoco nei culti greci è attestata nella tradizione, ripresa da Virgilio nell'Eneide che dice che Enea aveva portato via da Troia il fuoco sacro. La divinità che impersonava tale fuoco oggetto di culto era Estia. Il Sacro Fuoco era la fiamma perpetua che ardeva nel tempio di Vesta, mentre alle vestali, vergini consacrate alla dèa, mantenevano sempre acceso e nella malaugurata ipotesi che esso si spegnesse la punizione, era perdita della verginità e la successiva condanna a morte. Poiché le vestali erano inviolabili, la morte non era data da mano umana, ma mediante segregazione in un luogo sotterraneo. Esso fu spento nel 391 d.C., quando l'imperatore romano Teodosio, dopo l'editto di Tessalonica del 390 d.C., impedì la pratica di riti pagani e impose il rito niceneo come unica religione dell'impero.
[4] L'ossidiana è un vetro vulcanico la cui formazione è dovuta al rapido raffreddamento delle lave. All'interno dei vulcani le temperature e le pressioni sono così elevate da fondere i silicati dando origine alla lava. La lava a contatto dell'aria, si raffredda molto rapidamente dando origine all'ossidiana. Il veloce raffreddamento non consente agli atomi di ordinarsi per formare un cristallo. L'ossidiana è un vetro naturale, del tutto simile a quello di produzione umana. È utilizzata per fabbricare collane preziose e punte delle armi. I principali centri di estrazione delle ossidiane nel bacino del Mar Mediterraneo sono: le isole di Lipari, Pantelleria e della Sardegna (Massiccio del Monte Acri). L'ossidiana si presenta con grande varietà di colori, dovuti alle impurezze presenti al suo interno, e alle condizioni vulcaniche specifiche nelle quali si forma. L'ossidiana del Monte Arci, nera traslucida, è di tipo riolitico; si raccoglie prevalentemente in grossi ciottoli (arnioni), sia in "giacimenti" a cielo aperto che nei greti dei torrenti. Da non dimenticare l'isola di Palmarola (isole ponziane), molto frequentata nel Neolitico e nell'Eneolitico da tribù dedite al commercio di questa materia prima, che introducevano nel continente. Sono stati ritrovati resti di ceramica e alcuni oggetti di ossidiana lavorati di età eneolitica. Plinio la chiamò lapis obsianus o obsidianus in onore di un certo Obsius o Obsidius, che citò la pietra per primo in alcune zone dell'Etiopia. Alcuni ritrovamenti fanno ipotizzare la conoscenza della pietra in epoca antica: gli antichi egizi usavano l'ossidiana per fabbricare scarabei e sigilli mentre in America centrale veniva utilizzato da civiltà precolombiane.

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