lunedì 14 novembre 2016

IL DOMINIO ENKITA IN SICILIA

Chi era realmente la primigenia divinità siciliana che nella seconda metà del II millennio a.C., fu soppiantata dal dio Adranòs, che secondo gli storici, in seguito divenne la massima espressione divina dell'isola?
Ogni informazione storica lascerebbe supporre che questo Adranòs era una divinità autoctona siciliana. Ciò non di meno se supportiamo l'ipotesi secondo la quale tale nome può essere fatto risalire a una divinità sumerica di nome Adad.
Adad in accadico e Ishkur in sumero, secondo le cronache lasciateci in eredità dalle popolazioni mesopotamiche tra il II e il I millennio a.C., sono i nomi del dio della pioggia e della tempesta nella mitologia mesopotamica. Il suo nome si scriveva in sumero d.IM, ritenuto il patrono di Karkara. La divinità accadica è imparentata nel nome e nelle funzioni con il dio nord-occidentale semitico Hadad. Durante l'impero babilonese, Adad fu considerato tra le divinità principali del pantheon e venne definito come figlio di Enlil. La doppia valenza degli aspetti propri del dio, la pioggia fertile e la tempesta distruttrice, è presente nel poema Atrahasis e nell'Epopea di Gilgamesh. A Babilonia e in Assiria era chiamato anche Ramman.  Era uno dei più giovani e bellicosi Anunnaki, il cui dominio comprendeva la zona dell'Anatolia, dell'Armenia, e dei monti del Tauro.


Era rappresentato come un gigante giovane e barbuto, con una scure in mano, e spesso in piedi su un toro simbolo della fazione di suo padre Enlil. Era spesso accompagnato nei sigilli da fulmini o tridenti. Il Nome ISHKUR (ISH da ISHA = Signore) - (KUR = montagna) e significherebbe "Signore delle Montagne". Questo significato sarebbe ripreso in uno dei suoi epiteti, ILU.KUR.GAL (Signore della grande montagna). Secondo un’altra analisi ISH sarebbe derivante dal termine accadico SHADDU, che significa “Montagna” e da cui deriva il nome semitico El Shaddai (Signore delle montagne) con cui veniva chiamato Yahweh in epoca Abraminica. Era chiamato anche con il vezzeggiativo Dudu.
Ishkur é sicuramente il personaggio che é servito come matrice per la nascita delle figure di Zeus e di Yahweh. Come Ishkur, anche Zeus veniva raffigurato come un gigante barbuto con in mano dei fulmini. Veniva da una zona montuosa a est (non era, infatti, una divinità greca autoctona), e il mito che riguarda l'uccisione di suo padre ricorda molto il mito hurrita in cui Ishkur uccide Kumarbi.
Per gli hurriti e gli ittiti era Teshub, e per le popolazioni semite occidentali era Adad. Viene menzionato anche nella Bibbia come Bal-Hadad. Nel regno di Urartu, in Armenia, era Teisheba, e in Siria era chiamato Tahunda. Tutte queste rappresentazioni lo vedono barbuto, con una scure e un tridente in mano.
I suoi attributi e la sua iconografia hanno una sconcertante coincidenza con quelli del peruviano Viracocha, Sitchin, infatti, sostiene che Viracocha non fosse altro che Ishkur, leader delle popolazioni mediorientali kenite, particolarmente abili nella lavorazione dei metalli. Anche Viracocha guidava una popolazione abilissima nella lavorazione dei metalli. In Africa occidentale era adorato come Xango.

     Sappiamo anche che questa divinità in Sicilia amò circondarsi di magnifici animali quali i favolosi Molossi, una razza canina i cui studi recenti ne attestano l’origine proprio nei territori dominati da questa divinità, quali l’Anatolia, l'Armenia e i monti del Tauro. Giunti a questo punto ci troviamo in presenza di indizi probanti quali l’Etna, un vulcano in costante attività, uno studio semantico e una comparazione degli stessi con le antiche lingue sumeriche e accadiche, l’improvvisa ascesa religiosa che attesta la sua massima espressione intorno al 1500 a.C. Per quanto dibattuta e da molti rigettata, sull’isola siciliana vivevano già numerosi gruppi o discendenti di quelle piccole comunità che nel 5mila a.C. si rifiutarono di abbandonare l’isola e seguire nella migrazione il grosso della comunità siciliana.
Il culto al dio Adranòs/Adad si radicò profondamente nelle comunità dei territori etnei, ma questo soltanto dopo la seconda metà del II millennio a.C. Tuttavia c’è da considerare altri fattori emersi da nuovi studi, i quali pongono l’area etnea a una rivalutazione dei fatti avvenuti prima, durante e dopo tale periodo, per meglio comprendere gli aspetti storico-religiosi delle comunità etnee e quali dèi li guidavano. Uno di questi fattori posti alla base di questa nuova teoria è legato a ciò che da sempre gli storici sia del passato sia quelli odierni, hanno sostenuto su uno dei templi più importanti presenti in Sicilia e dedicato alla Grande Madre. Il tempio non è stato ancora individuato e, chi sa se le sue spoglie architettoniche rivedranno mai la luce, ciò non di meno, tutti concordano della sua esistenza tanto che nei pressi di tale tempio nacquero delle città. 

Del sito originale nonostante gli sforzi, si sono perse le vestigia, ma la tradizione antica colloca il suo culto nella Valle, dove le copiose e impetuose acque del Simeto ancora oggi, si rotolano fino al mare. Una di queste Tucidide la localizza tra Centuripa (antico nome della città di Centuripe) e Hibla Major, nei pressi dell'odierna Paternò.  Altre fonti antiche indicano la posizione della città a metà strada tra Catania e Centuripe o addirittura tra Catania e Termini Imerese. L’Itinerario Antonino la pone a 12 millia passuum (circa 17,7 km) da Catania e a 18 da Centuripe (circa 26,6 km). Strabone, nella sua Geografia, la colloca invece a 80 stadii da Catania (circa 14,8 km). 


Secondo alcuni la sede sarebbe probabilmente da localizzare nei territori degli attuali comuni di Santa Maria di Licodia e Paternò, forse sul Poggio Cocola (contrada Poira), presso il corso del fiume Simeto. Eppure i riferimenti alla Grande madre e nello specifico alla dea Hibla sono molteplici. La dea Hibla o Iblea, secondo l’ortodossia classica siciliana, è una divinità femminile sicula il cui culto era predominante sul versante orientale dell’isola e menzionata nella sua opera Viaggi in Grecia da Pausania il Periegeta, il quale sostiene che Hibla fosse una divinità di origine sicana e in un secondo momento fu introdotta nel  pantheon siculo.
Pausania afferma l'esistenza di un tempio, nella Ibla che egli chiama la Gereatis, dedicato a una dea Iblea venerata dai popoli barbari di Sicilia, ma poiché egli tace il nome di questa divinità, tutti i derivati odierni, come l'appellativo di «dea Ibla», rimangono pure congetture. Inoltre, la citazione di una città di nome Ibla nell'anonimo Pervigilium Veneris evidenzia come tale divinità fosse sovente identificata con la stessa dea Venere/Afrodite, due epiteti divini per indicare la stessa divinità.


Sicuramente, dati gli studi sul materiale archeologico riscontrato nei siti siculi o greco-siculi, il popolo dei monti Iblei aveva una particolare devozione per i culti potniaci, cioè quelli incentrati sulle divinità della terra, in particolare la Grande Madre. Infatti, proprio a Megara Hiblaea è stata rinvenuta una statua della Grande Madre che allatta due gemelli, divinità che potrebbe essere identificata con la dea Iblea nominata da Pausania. Lo confermerebbe il toponimo della città di Megara, cui è aggiunto l'aggettivo greco "Hyblaia", che potrebbe significare "della dea Hybla". Molti storici sono concordi nell'affermare che anche il nome di Hibla Heraria deriva dalla dea Hybla. S’ipotizza dunque che fosse una divinità della fertilità, protettrice dei campi e della coltivazione dei cereali, che in epoca romana divenne la dea Cerere.
A questo punto emerge un nuovo dato che non solo ci riporta al periodo sumerico ma addirittura a un dio enkita in contrapposizione ad Adranòs/Adad, cioè Nergal. Ciò che sappiamo di questo dio è il risultato di recenti studi, infatti, nella mitologia mesopotamica Nergal (o Nerigal Signore della grande città) sposo di Ereshkigal, la regina degli inferi e a seconda dei testi sumeri è considerato figlio di Enki e Damkina. È il dio del calore solare, del fuoco, delle inondazioni e delle pestilenze.


Il poema assiro-babilonese in lingua accadica, chiamato dagli studiosi Nergal e Ereshkigal, ci è pervenuto frammentario ed in tre versioni: versione di Tell el-Amarna, versione di Sultantepe ed Uruk; la prima differisce abbastanza delle ultime che fanno pensare ad un'unica versione solo lievemente variata, nonostante ciò queste piccole differenze hanno aiutato gli studiosi nell'interpretazione del testo.
Ma per meglio comprendere tale figura dobbiamo prima capire come si è evoluta tale divinità, che oggi la ritroviamo nei testi mitologici della valle del Simeto. La storia dunque, raccontata da queste tavolette ci narra di come Nergal assurse al ruolo di re degli inferi. Gli dei celesti decisero di dare un banchetto ma non potendo loro scendere nei domini di Ereshkigal (l'irkalla, cioè gli inferi) né essa salire nel cielo, dominio di Anu, venne invitato il suo araldo Namtar per rappresentarla. Al giungere di questi tutti gli dei si alzarono per porgere i propri rispetti tranne Nergal. La regina degli inferi, venuta a sapere dell'onta subita, condannerà a morte Nergal. Questi, secondo la versione di Tell El Amarna, venne aiutato da Ea che gli darà in scorta sette e sette guardiani. Essi apriranno le porte degli inferi che, come documentano altri testi, sono in grado di far perdere i poteri agli dei e gli permetteranno di sottomettere Ereshkigal. Essa gli si offrirà come sposa che lui accetterà felice.


Mentre secondo le altre versioni sarà Erra, dio della peste e gemello di Nergal, a scendere negli inferi e sposare Ereshkigal. Tale figura è ancora dibattuta e considerata un doppio, un gemello oppure come la natura stessa duale di Nergal. Figure simili possono essere considerate: quella di Eracle figlio umano di Zeus che diviene dio ma la cui ombra dimora negli inferi, quelle dei dioscuri Castore (mortale) e Polluce (immortale) cui Zeus concesse, affinché potessero rimanere insieme, di dimorare metà tempo negli inferi e metà sull'Olimpo. Un santuario dedicato a Nergal fu scoperto negli anni settanta a Mashkan-shapir, sito archeologico a sud di Bagadad.
Se alcuni autori riportano che i Diòscuri nacquero da Zeus e Leda, altri affermano che i due gemelli avrebbero avuto origine da Tindaro, re di Sparta, avendo come sorella Elena, oggetto della contesa a Troia. Altri ancora raccontano che solamente Polluce e la sorella Elena fossero figli di Zeus, e dunque immortali; Castore sarebbe stato dunque figlio di Tindaro e destinato alla morte. Castore e Polluce furono due degli Argonauti, gli eroi che parteciparono alla ricerca del Vello d’oro: Polluce – già celebrato come grande pugile – sconfisse in una gara di questa disciplina il re dei Bebrici, Amico. Poco tempo dopo i gemelli diedero vita alla città eponima di Dioscuria, collocata secondo il mito in Colchide. Successivamente avrebbero fondato anche una città nel Lazio: Amyclae.
Inoltre presero parte alla lotta contro Teseo, che aveva rapito la loro sorella Elena nascondendola ad Afidna; dopo quest'ultimo combattimento Zeus concesse loro l'immortalità. Si narra inoltre che presero parte alla Battaglia della Sagra tra le file dei locresi e dei reggini (Locri Epizephiri e Rhegion) in battaglia contro i crotonesi (Crotone). Tuttavia il racconto dei Dioscuri ci riporta alla mente la mitologica storia dei Palici. 

I Palìci (in greco antico: Παλικοί, Palikoi; palìco al singolare) sono una coppia di divinità ctonie sicule della mitologia romana e in minore estensione nella mitologia greca. Sono menzionati nelle Metamorfosi di Ovidio e nell'Eneide di Virgilio (quest'ultimo parla sia di un tempio nei pressi del fiume Simeto dedicato ai Palici, sia del vicino bosco di Marte dove il siculo Arcente addestrò nelle armi il figlio).


Il loro culto è incentrato attorno a due piccoli laghi che emettevano vapori sulfurei nelle vicinanze di Palagonia, altro centro della provincia di Catania, ed erano associati ai geyser e al mondo sotterraneo. Accanto ai laghetti esisteva il santuario dedicato ai Palici, dove fu fondata la città sicula di Palikè. Nel santuario si esercitavano il giuramento ordalico, l'oracolo e l'asilo. Il giuramento avveniva attorno alle cavità da cui sgorgavano getti d'acqua. Ivi si poteva stabilire un contatto con la divinità a condizione che il chiamato in giudizio rispettasse un rituale. Il giurante si avvicinava alle cavità e pronunciava la formula del giuramento, iscritta su una tavoletta, che veniva gettata in acqua, se questa non galleggiava l'uomo veniva ritenuto spergiuro e punito con la morte o la cecità. L'oracolo indicava la divinità e il tipo di sacrificio necessario ad ottenere il favore. All'interno del santuario potevano trovare rifugio gli schiavi maltrattati da padroni crudeli. Questi ultimi non potevano portar via con la forza i loro servi, se non dopo aver garantito con un giuramento ai Palici di trattarli umanamente.


L'origine della mitologia non è certa; una leggenda fa i Palici figli Zeus, o probabilmente di Efesto, con la ninfa Etna o Talia, ma altri affermano che i Palici erano figli del dio siculo Adranòs. Il culto, oltre a quello del dio Adranos, è collegato con quello della dea Iblea. Il mito dei Palici è raccontato nelle Etnee di Eschilo di cui rimangono pochi frammenti.
Una storia lunga oltre due millenni dove si sono avvicendati epiteti e divinità, le cui difficoltà oggettive non sono interfacciate le une con le altre, perché le trasposizioni avvenute con le colonizzazioni che si sono susseguite tra il II e il I millennio a.C. hanno oscurato ogni aspetto religioso, culturale e semantico sulla natura degli dèi primigeni adorati dalle popolazioni orientali della Sicilia.
Ciò non di meno alla luce di tutte queste informazioni cautamente, possiamo ipotizzare l’idea secondo la quale il versante orientale della Sicilia durante la guerra tra gli dèi Anunnaki, avvenuta a cavallo del II millennio a.C., era di dominio Enkita, la cui gestione del territorio fu affidata a Nergal, il quale fu scacciato dall’irruento Adad, signore della guerra nonché figlio di Enlil. E da allora e fino a oggi, tale territorio è rimasto sotto la guida Enlelita. A suffragio di quest’ultima affermazione troviamo tutta una serie di simbolismi e riferimenti esoterici e massonici che ne confermerebbero la plausibilità, ma questa è un altro aspetto della vicenda.

Copyright ©  Angelo Virgillito



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