E' difficile compiere uno studio attendibile sulla preistoria della Sicilia sia per la scarsezza di riferimenti storici e quei pochi, giunti sino a noi, che non chiariscono del tutto il panorama sociale, religioso e industriale delle prime comunità che si insediarono sull'isola, sia per lo scempio e lo sciacallaggio perpetrato in questi ultimi cinquant'anni dai profanatori di tombe. La Sicilia non è soltanto il fulcro politico-militare delle super potenze, per il controllo del Mediterraneo ma, e sono in molti a sostenerlo, è considerata la custode di antichi segreti alchemici e magici, in uso alle comunità post-diluviane, quelle stesse comunità che in seguito fondarono la prima civiltà conosciuta.
A tal proposito riporto quanto scritto nel mio libro "Il tempio perduto degli Anunnaki", edizioni Cerchio della Luna, Verona, dove nel capitolo VII - Gli
influssi della cultura Sumero-Akkadica,
Uno dei maggiori sostenitori dell’ipotesi
mediorientale è lo studioso catanese Giuseppe Resina quando documenta le
influenze culturali sulle popolazioni autoctone dell’isola siciliana. Nel suo
libro influssi della civiltà
Sumero-Akkadica sulla civiltà mediterranea, Resina afferma:
Quando noi sentiamo parlare della Mesopotamia, non pensiamo che un
paese così lontano da noi nel tempo e nello spazio, […] possa avere influito
sulla nostra civiltà di discendenti dagli altieri abitatori di Roma.
Il riferimento del Resina è implicito; contrasta
l’ipotesi avanzata da alcuni studiosi, secondo i quali le prime colonizzazioni
dell’isola furono di provenienza italica. E’ vero che gli storici antichi
quando parlavano della Mesopotamia si riferivano soltanto a un ristretto
territorio mesopotamico, compreso tra i fiumi Tigri ed Eufrate (odierno Iraq),
anche se oggi si ha la tendenza ad allargare tali confini incorporando le valli
degli affluenti dei due fiumi, parte dei territori della Siria orientale e del
versante Sud-orientale della Turchia, com’è attendibile che la nascita
dell’agricoltura impose nuove regole sedentarie agli uomini preistorici. Non
tutti però si trasformarono in agricoltori; molti gruppi continuarono a
mantenere vive le vecchie tradizioni, che li portavano a spostarsi spesso da un
territorio all’altro. Naturalmente la tesi della provenienza italica, secondo
alcuni punti di vista, potrebbe essere accettabile. Ciò che non è plausibile è
la discendenza indo-europea.
Mi propongo di dimostrare, [scrive Resina nel libro, il cui testo, tra
l’altro, è stato utilizzato nel corso di Assiriologia tenuto nell’Università di
Catania nell’anno accademico 1964/1965] che tale opinione è errata, perché
contrariamente a quanto si pensa, la nostra civiltà deriva da quella
mesopotamica, o per maggiore precisione da quella Sumero-akkadica. [Il testo
tra le parentesi quadre è mio].
La teoria di Resina si basa su due principi
fondamentali: il primo è riferito al cospicuo numero di parole dialettali, la
cui derivazione è prettamente di origine sumerica e akkadica; il secondo
riguarda le molteplici similitudini che lo studioso ha riscontrato in frasi
dialettali siciliane, che affondano il loro significato nel panorama religioso
legato alle antiche divinità sumeriche.
Quante volte – continua Resina - abbiamo inteso pronunziare la frase
“mintiricci aricchia” [metterci
l’orecchio, partecipare] nel senso di dedicarsi con vivo interesse a
un’impresa. Questa espressione si riscontra nel poema di Ishtar al Paese senza
ritorno e in una cronaca del re Sennacherib [iscrizione che si trova riportata in un sigillo cilindrico ed esposto
nel museo di Berlino, in Germania], in cui il re dice: alla restaurazione
dei templi degli dèi è posta l’orecchia mia. Altra frase è “acqua ‘e celu” con
cui i vecchi marinai indicavano la pioggia. E proprio così veniva chiamata [dalle popolazioni della regione] di
Sumer la pioggia, e si scriveva con una stella, che indicava il cielo e quattro
trattini verticali, che indicavano le gocce d’acqua [il corsivo è mio].
Tra i vocaboli identificati da Resina, che traggono
origine o sono di derivazione sumero-akkadica, i più conosciuti sono: il carrubo che deriva da Kharubu; cazzuola da qat (mano, la
cui derivazione nel dialetto siciliano in manicula, cioè piccola mano); cricchimiddu da qimmatu (termine riferito ai capelli della sommità del capo) e marranzano da muzaranu, cioè rana, il cui suono musicale richiama il gracidare
delle rane nello stagno, ma anche lo stridere delle zampe dei grilli di palude.
Non sono soltanto le terminologie di molte frasi o l’accostamento dei vocaboli
con la lingua sumera, nel vasto panorama culturale rientra anche a piena
gloria, per usare la terminologia di Resina, la legislazione del diritto.
Noi – dice Resina - ci gloriamo delle leggi delle XII tavole, che
Cicerone giudicava più preziose delle biblioteche di tutti i filosofi. Ma ben
dodici secoli prima, Babilonia possedeva il codice di Hammurabi e ancora, un
secolo prima la città di Isin aveva il codice di Lipit-Ishtar, un altro secolo
prima la città di Asnunnak aveva quello di Bilalama, altri centocinquanta anni
prima la città di Ur aveva quello di Urnammu e nel 2.400 a.C. erano rinomate le
riforme di Urukagina, re di Lagash.
Il riferimento di Resina ai codici e alle riforme
legislative riguarda il raffronto che lo studioso fa quando mette in relazione
il codice di Hammurabi[1]
con quelli romani per cui, secondo il suo emerito giudizio, le XII tavole di Cicerone[2]
sono una rivisitazione delle leggi sumeriche, focalizzandole su alcuni punti
fondamentali:
[…] la condizione della donna rispetto al marito, quella dei figli
rispetto al padre e quella degli schiavi rispetto al padrone. Nel campo
religioso – prosegue Resina – noi dobbiamo ammirare lo zelo dei Sumeri-Akkadi,
che dedicavano gran parte della loro vita al servizio degli dèi in quotidiane
funzioni sacre. A loro siamo debitori di alcune concezioni, rimaste salde
presso di noi: la divinità concepita con forma e passioni umane, detta poi in
Grecia ‘Antropomorfismo’; il genio protettore che assiste l’uomo in ogni
circostanza della vita e diviene fra i cattolici l’angelo custode; il ciclo
perpetuamente ricorrente della vita e della morte; l’immortalità dell’anima; la
possibilità di una resurrezione. Si formò in Mesopotamia la concezione della
Mu’Alittu, cioè l’alimentatrice del genere umano, considerata dapprima come
mulier fecunda che salva materialmente gli uomini dalla distruzione, mediante
la procreazione e divenuta poi nel cristianesimo la Mater Divina Misericordiae,
che salva spiritualmente gli uomini dalla dannazione eterna.
Non dobbiamo dimenticare che i Romani costruirono il più importante
centro religioso del Medioriente sulle rovine dell’antico sito di Baalbek, in
Mesopotamia, i cui resti ancora oggi affascinano turisti e studiosi di tutto il
mondo. Ogni riferimento quindi, esposto da Resina, che nello studio della
storia dell’Assiriologia non è l’ultimo arrivato, rafforza notevolmente la
nostra tesi. La storia però racconta anche che le popolazioni della regione
meridionale della Mesopotamia erano di natura bellicosa e la connivenza con
altre etnie veniva spesso imposta con l’uso delle armi, mentre i re agivano
sotto l’influsso divino; non dobbiamo dimenticare i forti contrasti tra il dio Marduk e Inanna e Ninurta, con la
furente guerra che scaturì per il dominio su Babilonia. Sul suolo siciliano
nonostante le influenze sumerico-akkadiche, sembra che esistesse una sorta di
connivenza pacifica tra le diverse etnie locali, ipotesi sostenuta da molti
studiosi, i quali la definiscono accondiscendente ed espressamente legata alla
tradizione religiosa, che accomunava tutti i popoli preistorici del bacino del
Mediterraneo orientale.
Per saperne di più: "IL TEMPIO PERDUTO DEGLI ANUNNAKI" edizioni Cerchio della Luna, Verona.
Il libro si può acquistare richiedendolo al proprio
libraio di fiducia, oppure si può ordinare online nei seguenti siti:
e in tanti altri siti specializzati.
Copyright 2016 Angelo Virgillito
Tutti i diritti riservati, nessuna parte di questo libro può
essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione dell’Editore, ad
eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.
[1] Il Codice di Hammurabi è una fra le più antiche raccolte
di leggi conosciute nella storia dell'umanità. Venne stilato durante il regno
del re babilonese Hammurabi (o Hammu-Rapi), che regnò dal 1792 al 1750 a.C.,
secondo la cronologia media.
[2] Le leggi delle XII tavole (duodecim tabularum leges)
è un corpo di leggi compilato nel 451- 450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato
e pubblico. Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto
romano se si considerano le più antiche mores e lex regia.
Nessun commento:
Posta un commento