venerdì 30 dicembre 2016

I SUMERI IN SICILIA

E' difficile compiere uno studio attendibile sulla preistoria della Sicilia sia per la scarsezza di riferimenti storici e quei pochi, giunti sino a noi, che non chiariscono del tutto il panorama sociale, religioso e industriale delle prime comunità che si insediarono sull'isola, sia per lo scempio e lo sciacallaggio perpetrato in questi ultimi cinquant'anni dai profanatori di tombe. La Sicilia non è soltanto il fulcro politico-militare delle super potenze, per il controllo del Mediterraneo ma, e sono in molti a sostenerlo, è considerata la custode di antichi segreti alchemici e magici, in uso alle comunità post-diluviane, quelle stesse comunità che in seguito fondarono la prima civiltà conosciuta.
A tal proposito riporto quanto scritto nel mio libro "Il tempio perduto degli Anunnaki", edizioni Cerchio della Luna, Verona, dove nel capitolo VII - Gli influssi della cultura Sumero-Akkadica,

Uno dei maggiori sostenitori dell’ipotesi mediorientale è lo studioso catanese Giuseppe Resina quando documenta le influenze culturali sulle popolazioni autoctone dell’isola siciliana. Nel suo libro influssi della civiltà Sumero-Akkadica sulla civiltà mediterranea, Resina afferma:

Quando noi sentiamo parlare della Mesopotamia, non pensiamo che un paese così lontano da noi nel tempo e nello spazio, […] possa avere influito sulla nostra civiltà di discendenti dagli altieri abitatori di Roma.

Il riferimento del Resina è implicito; contrasta l’ipotesi avanzata da alcuni studiosi, secondo i quali le prime colonizzazioni dell’isola furono di provenienza italica. E’ vero che gli storici antichi quando parlavano della Mesopotamia si riferivano soltanto a un ristretto territorio mesopotamico, compreso tra i fiumi Tigri ed Eufrate (odierno Iraq), anche se oggi si ha la tendenza ad allargare tali confini incorporando le valli degli affluenti dei due fiumi, parte dei territori della Siria orientale e del versante Sud-orientale della Turchia, com’è attendibile che la nascita dell’agricoltura impose nuove regole sedentarie agli uomini preistorici. Non tutti però si trasformarono in agricoltori; molti gruppi continuarono a mantenere vive le vecchie tradizioni, che li portavano a spostarsi spesso da un territorio all’altro. Naturalmente la tesi della provenienza italica, secondo alcuni punti di vista, potrebbe essere accettabile. Ciò che non è plausibile è la discendenza indo-europea.

Mi propongo di dimostrare, [scrive Resina nel libro, il cui testo, tra l’altro, è stato utilizzato nel corso di Assiriologia tenuto nell’Università di Catania nell’anno accademico 1964/1965] che tale opinione è errata, perché contrariamente a quanto si pensa, la nostra civiltà deriva da quella mesopotamica, o per maggiore precisione da quella Sumero-akkadica. [Il testo tra le parentesi quadre è mio].
 
La teoria di Resina si basa su due principi fondamentali: il primo è riferito al cospicuo numero di parole dialettali, la cui derivazione è prettamente di origine sumerica e akkadica; il secondo riguarda le molteplici similitudini che lo studioso ha riscontrato in frasi dialettali siciliane, che affondano il loro significato nel panorama religioso legato alle antiche divinità sumeriche.

Quante volte – continua Resina - abbiamo inteso pronunziare la frase “mintiricci aricchia” [metterci l’orecchio, partecipare] nel senso di dedicarsi con vivo interesse a un’impresa. Questa espressione si riscontra nel poema di Ishtar al Paese senza ritorno e in una cronaca del re Sennacherib [iscrizione che si trova riportata in un sigillo cilindrico ed esposto nel museo di Berlino, in Germania], in cui il re dice: alla restaurazione dei templi degli dèi è posta l’orecchia mia. Altra frase è “acqua ‘e celu” con cui i vecchi marinai indicavano la pioggia. E proprio così veniva chiamata [dalle popolazioni della regione] di Sumer la pioggia, e si scriveva con una stella, che indicava il cielo e quattro trattini verticali, che indicavano le gocce d’acqua [il corsivo è mio].

Tra i vocaboli identificati da Resina, che traggono origine o sono di derivazione sumero-akkadica, i più conosciuti sono: il carrubo che deriva da Kharubu; cazzuola da qat (mano, la cui derivazione nel dialetto siciliano in manicula, cioè piccola mano); cricchimiddu da qimmatu (termine riferito ai capelli della sommità del capo) e marranzano da muzaranu, cioè rana, il cui suono musicale richiama il gracidare delle rane nello stagno, ma anche lo stridere delle zampe dei grilli di palude. Non sono soltanto le terminologie di molte frasi o l’accostamento dei vocaboli con la lingua sumera, nel vasto panorama culturale rientra anche a piena gloria, per usare la terminologia di Resina, la legislazione del diritto.

Noi – dice Resina - ci gloriamo delle leggi delle XII tavole, che Cicerone giudicava più preziose delle biblioteche di tutti i filosofi. Ma ben dodici secoli prima, Babilonia possedeva il codice di Hammurabi e ancora, un secolo prima la città di Isin aveva il codice di Lipit-Ishtar, un altro secolo prima la città di Asnunnak aveva quello di Bilalama, altri centocinquanta anni prima la città di Ur aveva quello di Urnammu e nel 2.400 a.C. erano rinomate le riforme di Urukagina, re di Lagash.

Il riferimento di Resina ai codici e alle riforme legislative riguarda il raffronto che lo studioso fa quando mette in relazione il codice di Hammurabi[1] con quelli romani per cui, secondo il suo emerito giudizio, le XII tavole di Cicerone[2] sono una rivisitazione delle leggi sumeriche, focalizzandole su alcuni punti fondamentali:
   
[…] la condizione della donna rispetto al marito, quella dei figli rispetto al padre e quella degli schiavi rispetto al padrone. Nel campo religioso – prosegue Resina – noi dobbiamo ammirare lo zelo dei Sumeri-Akkadi, che dedicavano gran parte della loro vita al servizio degli dèi in quotidiane funzioni sacre. A loro siamo debitori di alcune concezioni, rimaste salde presso di noi: la divinità concepita con forma e passioni umane, detta poi in Grecia ‘Antropomorfismo’; il genio protettore che assiste l’uomo in ogni circostanza della vita e diviene fra i cattolici l’angelo custode; il ciclo perpetuamente ricorrente della vita e della morte; l’immortalità dell’anima; la possibilità di una resurrezione. Si formò in Mesopotamia la concezione della Mu’Alittu, cioè l’alimentatrice del genere umano, considerata dapprima come mulier fecunda che salva materialmente gli uomini dalla distruzione, mediante la procreazione e divenuta poi nel cristianesimo la Mater Divina Misericordiae, che salva spiritualmente gli uomini dalla dannazione eterna.

Non dobbiamo dimenticare che i Romani costruirono il più importante centro religioso del Medioriente sulle rovine dell’antico sito di Baalbek, in Mesopotamia, i cui resti ancora oggi affascinano turisti e studiosi di tutto il mondo. Ogni riferimento quindi, esposto da Resina, che nello studio della storia dell’Assiriologia non è l’ultimo arrivato, rafforza notevolmente la nostra tesi. La storia però racconta anche che le popolazioni della regione meridionale della Mesopotamia erano di natura bellicosa e la connivenza con altre etnie veniva spesso imposta con l’uso delle armi, mentre i re agivano sotto l’influsso divino; non dobbiamo dimenticare i forti contrasti tra il dio Marduk e Inanna e Ninurta, con la furente guerra che scaturì per il dominio su Babilonia. Sul suolo siciliano nonostante le influenze sumerico-akkadiche, sembra che esistesse una sorta di connivenza pacifica tra le diverse etnie locali, ipotesi sostenuta da molti studiosi, i quali la definiscono accondiscendente ed espressamente legata alla tradizione religiosa, che accomunava tutti i popoli preistorici del bacino del Mediterraneo orientale.

Per saperne di più: "IL TEMPIO PERDUTO DEGLI ANUNNAKI" edizioni Cerchio della Luna, Verona.  





Il libro si può acquistare richiedendolo al proprio libraio di fiducia, oppure si può ordinare online nei seguenti siti:

e in tanti altri siti specializzati.

Copyright 2016 Angelo Virgillito

Tutti i diritti riservati, nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione dell’Editore, ad eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.


[1] Il Codice di Hammurabi è una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute nella storia dell'umanità. Venne stilato durante il regno del re babilonese Hammurabi (o Hammu-Rapi), che regnò dal 1792 al 1750 a.C., secondo la cronologia media.
[2] Le leggi delle XII tavole (duodecim tabularum leges) è un corpo di leggi compilato nel 451- 450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e pubblico. Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano se si considerano le più antiche mores e lex regia.

lunedì 14 novembre 2016

SITCHIN E' IL MODERNO UPUAUT (apritore di vie) DELLA NUOVA SCIENZA !!!

SITCHIN/UPUAUT, è il moderno "apritore" della nuova conoscenza !!!

Vi ricordate del robottino utilizzato dall'ingegnere tedesco Rudolf Gantenbrink,e battezzato Upuaut, che tradotto dall'egiziano significa "apritore di vie". 


Ho voluto riportare alla vostra memoria questo episodio per introdurre uno concetti di base su cui si fonda la ricerca e il panorama ufologico o quello che la scienza canonica definisce pseudo scienza. Qualsiasi studio scientifico, filosofico, religioso si sviluppa seguendo una traccia di base. Faccio un esempio per meglio comprendere tale concetto. Era il 28 dicembre 1871 quando Antonio Meucci depositò presso l'Ufficio Brevetti statunitense, a Washington, il caveat n. 3335 dal titolo Sound Telegraph in cui descriveva la sua invenzione. Da quella fatidica data ad oggi, un susseguirsi di ricercatori, tecnici e ingegneri hanno trasformato quel rudimentale strumento di comunicazione in apparati Hi teck, la cui tecnologia oggi ci permette di accedere a centinaia di applicazioni in tempo reale. Ed è ciò che accade nella ricerca sulle nostre origini e il rapporto di interconnessione con quelle creature che dal cielo scesero sulla terra, alle quali i nostri avi le attribuirono poteri divini.
Uno degli assiriologi più combattuti di questi ultimi cinquantanni è senza ombra di dubbio Zecharia Sitchin. il quale con i suoi studi, traduzioni e interpretazioni delle antiche cronache sumeriche ha intrapreso una nuova strada interpretativa della genesi umana. 


Sono in molti, ma d'altronde era prevedibile, che hanno messo in discussione le sue teorie e, come succede di solito, la maggioranza di questi "studiosi" dell'ultima ora anziché comprendere e sviluppare le tematiche inerenti a questo nuovo panorama storico, ne prendono le distanze.
A questo illustre assiriologo dovremmo insignirlo di un nuovo epiteto, come era costume tra gli antichi dèi e il più indicato è proprio UPUAUT. Egli ha aperto una realtà oggettiva, storica e d’indubbio valore, ora spetta ai moderni ricercatori sviluppare e comprendere quel messaggio che un popolo vissuto 6mila anni fa ci ha lasciato in eredità. Siamo noi che dovremmo, parafrasando, trasformare quella pietra grezza in uno splendido diamante. 
Purtroppo però la scarsità di conoscenza e apertura mentale ci impedisce di avere una visione chiara del nostro passato. 
Gli Anunnaki, questa antica casta cosmica che giunse sul nostro pianeta sovvertendo gli equilibri evolutivi imposti, hanno dissacrato la natura delle cose, riducendo persino il ciclo vitale del pianeta, per adattarlo alla loro natura. Hanno infine creato una nuova razza terrestre per i loro scopi imperialistici, per poi soggiocarla e schiavizzarla, ma i nostri avi per quanto primitivi sono riusciti a raccontare la loro storia per far comprendere alle generazioni future a quale destino siamo legati. Oggi abbiamo quella maturità e conoscenze che ci permetterebbero di uscire da questo circolo vizioso, ma ritornare alla nostra vera natura e perdere tutte le false agiatezze e certezze alle quali siamo stati indotti a credere, è un'opzione inaccettabile. 


A tutte queste persone dico che non basta leggere un libro per diventare degli esperti o partecipare a una conferenza per sentirsi dei ricercatori, il panorama è talmente ampio e difficoltoso che soltanto una mente aperta e umile può percorrere. Gli alieni, non è un concetto astratto o una nuova religione, essi sono una realtà con la quale prima o poi dovremmo confrontarci e se vogliamo garantire un futuro alla nostra razza, dobbiamo renderci conto che non sono esseri pacifici ma razze bellicose il cui obbiettivo è lo sterminio della razza umana.



COPYRIGHT Novembre 2016  Angelo Virgillito

IL DOMINIO ENKITA IN SICILIA

Chi era realmente la primigenia divinità siciliana che nella seconda metà del II millennio a.C., fu soppiantata dal dio Adranòs, che secondo gli storici, in seguito divenne la massima espressione divina dell'isola?
Ogni informazione storica lascerebbe supporre che questo Adranòs era una divinità autoctona siciliana. Ciò non di meno se supportiamo l'ipotesi secondo la quale tale nome può essere fatto risalire a una divinità sumerica di nome Adad.
Adad in accadico e Ishkur in sumero, secondo le cronache lasciateci in eredità dalle popolazioni mesopotamiche tra il II e il I millennio a.C., sono i nomi del dio della pioggia e della tempesta nella mitologia mesopotamica. Il suo nome si scriveva in sumero d.IM, ritenuto il patrono di Karkara. La divinità accadica è imparentata nel nome e nelle funzioni con il dio nord-occidentale semitico Hadad. Durante l'impero babilonese, Adad fu considerato tra le divinità principali del pantheon e venne definito come figlio di Enlil. La doppia valenza degli aspetti propri del dio, la pioggia fertile e la tempesta distruttrice, è presente nel poema Atrahasis e nell'Epopea di Gilgamesh. A Babilonia e in Assiria era chiamato anche Ramman.  Era uno dei più giovani e bellicosi Anunnaki, il cui dominio comprendeva la zona dell'Anatolia, dell'Armenia, e dei monti del Tauro.


Era rappresentato come un gigante giovane e barbuto, con una scure in mano, e spesso in piedi su un toro simbolo della fazione di suo padre Enlil. Era spesso accompagnato nei sigilli da fulmini o tridenti. Il Nome ISHKUR (ISH da ISHA = Signore) - (KUR = montagna) e significherebbe "Signore delle Montagne". Questo significato sarebbe ripreso in uno dei suoi epiteti, ILU.KUR.GAL (Signore della grande montagna). Secondo un’altra analisi ISH sarebbe derivante dal termine accadico SHADDU, che significa “Montagna” e da cui deriva il nome semitico El Shaddai (Signore delle montagne) con cui veniva chiamato Yahweh in epoca Abraminica. Era chiamato anche con il vezzeggiativo Dudu.
Ishkur é sicuramente il personaggio che é servito come matrice per la nascita delle figure di Zeus e di Yahweh. Come Ishkur, anche Zeus veniva raffigurato come un gigante barbuto con in mano dei fulmini. Veniva da una zona montuosa a est (non era, infatti, una divinità greca autoctona), e il mito che riguarda l'uccisione di suo padre ricorda molto il mito hurrita in cui Ishkur uccide Kumarbi.
Per gli hurriti e gli ittiti era Teshub, e per le popolazioni semite occidentali era Adad. Viene menzionato anche nella Bibbia come Bal-Hadad. Nel regno di Urartu, in Armenia, era Teisheba, e in Siria era chiamato Tahunda. Tutte queste rappresentazioni lo vedono barbuto, con una scure e un tridente in mano.
I suoi attributi e la sua iconografia hanno una sconcertante coincidenza con quelli del peruviano Viracocha, Sitchin, infatti, sostiene che Viracocha non fosse altro che Ishkur, leader delle popolazioni mediorientali kenite, particolarmente abili nella lavorazione dei metalli. Anche Viracocha guidava una popolazione abilissima nella lavorazione dei metalli. In Africa occidentale era adorato come Xango.

     Sappiamo anche che questa divinità in Sicilia amò circondarsi di magnifici animali quali i favolosi Molossi, una razza canina i cui studi recenti ne attestano l’origine proprio nei territori dominati da questa divinità, quali l’Anatolia, l'Armenia e i monti del Tauro. Giunti a questo punto ci troviamo in presenza di indizi probanti quali l’Etna, un vulcano in costante attività, uno studio semantico e una comparazione degli stessi con le antiche lingue sumeriche e accadiche, l’improvvisa ascesa religiosa che attesta la sua massima espressione intorno al 1500 a.C. Per quanto dibattuta e da molti rigettata, sull’isola siciliana vivevano già numerosi gruppi o discendenti di quelle piccole comunità che nel 5mila a.C. si rifiutarono di abbandonare l’isola e seguire nella migrazione il grosso della comunità siciliana.
Il culto al dio Adranòs/Adad si radicò profondamente nelle comunità dei territori etnei, ma questo soltanto dopo la seconda metà del II millennio a.C. Tuttavia c’è da considerare altri fattori emersi da nuovi studi, i quali pongono l’area etnea a una rivalutazione dei fatti avvenuti prima, durante e dopo tale periodo, per meglio comprendere gli aspetti storico-religiosi delle comunità etnee e quali dèi li guidavano. Uno di questi fattori posti alla base di questa nuova teoria è legato a ciò che da sempre gli storici sia del passato sia quelli odierni, hanno sostenuto su uno dei templi più importanti presenti in Sicilia e dedicato alla Grande Madre. Il tempio non è stato ancora individuato e, chi sa se le sue spoglie architettoniche rivedranno mai la luce, ciò non di meno, tutti concordano della sua esistenza tanto che nei pressi di tale tempio nacquero delle città. 

Del sito originale nonostante gli sforzi, si sono perse le vestigia, ma la tradizione antica colloca il suo culto nella Valle, dove le copiose e impetuose acque del Simeto ancora oggi, si rotolano fino al mare. Una di queste Tucidide la localizza tra Centuripa (antico nome della città di Centuripe) e Hibla Major, nei pressi dell'odierna Paternò.  Altre fonti antiche indicano la posizione della città a metà strada tra Catania e Centuripe o addirittura tra Catania e Termini Imerese. L’Itinerario Antonino la pone a 12 millia passuum (circa 17,7 km) da Catania e a 18 da Centuripe (circa 26,6 km). Strabone, nella sua Geografia, la colloca invece a 80 stadii da Catania (circa 14,8 km). 


Secondo alcuni la sede sarebbe probabilmente da localizzare nei territori degli attuali comuni di Santa Maria di Licodia e Paternò, forse sul Poggio Cocola (contrada Poira), presso il corso del fiume Simeto. Eppure i riferimenti alla Grande madre e nello specifico alla dea Hibla sono molteplici. La dea Hibla o Iblea, secondo l’ortodossia classica siciliana, è una divinità femminile sicula il cui culto era predominante sul versante orientale dell’isola e menzionata nella sua opera Viaggi in Grecia da Pausania il Periegeta, il quale sostiene che Hibla fosse una divinità di origine sicana e in un secondo momento fu introdotta nel  pantheon siculo.
Pausania afferma l'esistenza di un tempio, nella Ibla che egli chiama la Gereatis, dedicato a una dea Iblea venerata dai popoli barbari di Sicilia, ma poiché egli tace il nome di questa divinità, tutti i derivati odierni, come l'appellativo di «dea Ibla», rimangono pure congetture. Inoltre, la citazione di una città di nome Ibla nell'anonimo Pervigilium Veneris evidenzia come tale divinità fosse sovente identificata con la stessa dea Venere/Afrodite, due epiteti divini per indicare la stessa divinità.


Sicuramente, dati gli studi sul materiale archeologico riscontrato nei siti siculi o greco-siculi, il popolo dei monti Iblei aveva una particolare devozione per i culti potniaci, cioè quelli incentrati sulle divinità della terra, in particolare la Grande Madre. Infatti, proprio a Megara Hiblaea è stata rinvenuta una statua della Grande Madre che allatta due gemelli, divinità che potrebbe essere identificata con la dea Iblea nominata da Pausania. Lo confermerebbe il toponimo della città di Megara, cui è aggiunto l'aggettivo greco "Hyblaia", che potrebbe significare "della dea Hybla". Molti storici sono concordi nell'affermare che anche il nome di Hibla Heraria deriva dalla dea Hybla. S’ipotizza dunque che fosse una divinità della fertilità, protettrice dei campi e della coltivazione dei cereali, che in epoca romana divenne la dea Cerere.
A questo punto emerge un nuovo dato che non solo ci riporta al periodo sumerico ma addirittura a un dio enkita in contrapposizione ad Adranòs/Adad, cioè Nergal. Ciò che sappiamo di questo dio è il risultato di recenti studi, infatti, nella mitologia mesopotamica Nergal (o Nerigal Signore della grande città) sposo di Ereshkigal, la regina degli inferi e a seconda dei testi sumeri è considerato figlio di Enki e Damkina. È il dio del calore solare, del fuoco, delle inondazioni e delle pestilenze.


Il poema assiro-babilonese in lingua accadica, chiamato dagli studiosi Nergal e Ereshkigal, ci è pervenuto frammentario ed in tre versioni: versione di Tell el-Amarna, versione di Sultantepe ed Uruk; la prima differisce abbastanza delle ultime che fanno pensare ad un'unica versione solo lievemente variata, nonostante ciò queste piccole differenze hanno aiutato gli studiosi nell'interpretazione del testo.
Ma per meglio comprendere tale figura dobbiamo prima capire come si è evoluta tale divinità, che oggi la ritroviamo nei testi mitologici della valle del Simeto. La storia dunque, raccontata da queste tavolette ci narra di come Nergal assurse al ruolo di re degli inferi. Gli dei celesti decisero di dare un banchetto ma non potendo loro scendere nei domini di Ereshkigal (l'irkalla, cioè gli inferi) né essa salire nel cielo, dominio di Anu, venne invitato il suo araldo Namtar per rappresentarla. Al giungere di questi tutti gli dei si alzarono per porgere i propri rispetti tranne Nergal. La regina degli inferi, venuta a sapere dell'onta subita, condannerà a morte Nergal. Questi, secondo la versione di Tell El Amarna, venne aiutato da Ea che gli darà in scorta sette e sette guardiani. Essi apriranno le porte degli inferi che, come documentano altri testi, sono in grado di far perdere i poteri agli dei e gli permetteranno di sottomettere Ereshkigal. Essa gli si offrirà come sposa che lui accetterà felice.


Mentre secondo le altre versioni sarà Erra, dio della peste e gemello di Nergal, a scendere negli inferi e sposare Ereshkigal. Tale figura è ancora dibattuta e considerata un doppio, un gemello oppure come la natura stessa duale di Nergal. Figure simili possono essere considerate: quella di Eracle figlio umano di Zeus che diviene dio ma la cui ombra dimora negli inferi, quelle dei dioscuri Castore (mortale) e Polluce (immortale) cui Zeus concesse, affinché potessero rimanere insieme, di dimorare metà tempo negli inferi e metà sull'Olimpo. Un santuario dedicato a Nergal fu scoperto negli anni settanta a Mashkan-shapir, sito archeologico a sud di Bagadad.
Se alcuni autori riportano che i Diòscuri nacquero da Zeus e Leda, altri affermano che i due gemelli avrebbero avuto origine da Tindaro, re di Sparta, avendo come sorella Elena, oggetto della contesa a Troia. Altri ancora raccontano che solamente Polluce e la sorella Elena fossero figli di Zeus, e dunque immortali; Castore sarebbe stato dunque figlio di Tindaro e destinato alla morte. Castore e Polluce furono due degli Argonauti, gli eroi che parteciparono alla ricerca del Vello d’oro: Polluce – già celebrato come grande pugile – sconfisse in una gara di questa disciplina il re dei Bebrici, Amico. Poco tempo dopo i gemelli diedero vita alla città eponima di Dioscuria, collocata secondo il mito in Colchide. Successivamente avrebbero fondato anche una città nel Lazio: Amyclae.
Inoltre presero parte alla lotta contro Teseo, che aveva rapito la loro sorella Elena nascondendola ad Afidna; dopo quest'ultimo combattimento Zeus concesse loro l'immortalità. Si narra inoltre che presero parte alla Battaglia della Sagra tra le file dei locresi e dei reggini (Locri Epizephiri e Rhegion) in battaglia contro i crotonesi (Crotone). Tuttavia il racconto dei Dioscuri ci riporta alla mente la mitologica storia dei Palici. 

I Palìci (in greco antico: Παλικοί, Palikoi; palìco al singolare) sono una coppia di divinità ctonie sicule della mitologia romana e in minore estensione nella mitologia greca. Sono menzionati nelle Metamorfosi di Ovidio e nell'Eneide di Virgilio (quest'ultimo parla sia di un tempio nei pressi del fiume Simeto dedicato ai Palici, sia del vicino bosco di Marte dove il siculo Arcente addestrò nelle armi il figlio).


Il loro culto è incentrato attorno a due piccoli laghi che emettevano vapori sulfurei nelle vicinanze di Palagonia, altro centro della provincia di Catania, ed erano associati ai geyser e al mondo sotterraneo. Accanto ai laghetti esisteva il santuario dedicato ai Palici, dove fu fondata la città sicula di Palikè. Nel santuario si esercitavano il giuramento ordalico, l'oracolo e l'asilo. Il giuramento avveniva attorno alle cavità da cui sgorgavano getti d'acqua. Ivi si poteva stabilire un contatto con la divinità a condizione che il chiamato in giudizio rispettasse un rituale. Il giurante si avvicinava alle cavità e pronunciava la formula del giuramento, iscritta su una tavoletta, che veniva gettata in acqua, se questa non galleggiava l'uomo veniva ritenuto spergiuro e punito con la morte o la cecità. L'oracolo indicava la divinità e il tipo di sacrificio necessario ad ottenere il favore. All'interno del santuario potevano trovare rifugio gli schiavi maltrattati da padroni crudeli. Questi ultimi non potevano portar via con la forza i loro servi, se non dopo aver garantito con un giuramento ai Palici di trattarli umanamente.


L'origine della mitologia non è certa; una leggenda fa i Palici figli Zeus, o probabilmente di Efesto, con la ninfa Etna o Talia, ma altri affermano che i Palici erano figli del dio siculo Adranòs. Il culto, oltre a quello del dio Adranos, è collegato con quello della dea Iblea. Il mito dei Palici è raccontato nelle Etnee di Eschilo di cui rimangono pochi frammenti.
Una storia lunga oltre due millenni dove si sono avvicendati epiteti e divinità, le cui difficoltà oggettive non sono interfacciate le une con le altre, perché le trasposizioni avvenute con le colonizzazioni che si sono susseguite tra il II e il I millennio a.C. hanno oscurato ogni aspetto religioso, culturale e semantico sulla natura degli dèi primigeni adorati dalle popolazioni orientali della Sicilia.
Ciò non di meno alla luce di tutte queste informazioni cautamente, possiamo ipotizzare l’idea secondo la quale il versante orientale della Sicilia durante la guerra tra gli dèi Anunnaki, avvenuta a cavallo del II millennio a.C., era di dominio Enkita, la cui gestione del territorio fu affidata a Nergal, il quale fu scacciato dall’irruento Adad, signore della guerra nonché figlio di Enlil. E da allora e fino a oggi, tale territorio è rimasto sotto la guida Enlelita. A suffragio di quest’ultima affermazione troviamo tutta una serie di simbolismi e riferimenti esoterici e massonici che ne confermerebbero la plausibilità, ma questa è un altro aspetto della vicenda.

Copyright ©  Angelo Virgillito



mercoledì 9 novembre 2016

UNA LOGICA RIFLESSIVA

Vivere in un mondo senza leggi e regole è impensabile persino dalle menti più savie, ma non perché l’uomo non ne sia capace, anzi. Ogni creatura vivente presente su questo meraviglioso pianeta è conformata a leggi universali. Gli animali, un termine che alla luce di questo panorama è da ritenersi offensivo, hanno e rispettano un codice morale che varia da specie a specie. Ciò non toglie che ognuna di esse è perfettamente in sintonia con le leggi che regolano la vita e la morte. E in tale contesto l’uomo, nelle sua prima fase evolutiva, si trovava al pari delle altre creature terrestri. Poi qualcosa avvenne: giunsero gli dèi e ne modificarono il corso evolutivo, trasformando una tra le tante creature terrestri, a loro immagine e somiglianza.



Da quel momento l’uomo, non fu più padrone di se stesso.
Gli fu imposto di disattendere ogni regola sostituendole con altre che nulla hanno a che vedere con gli equilibri cosmici.  Gli dèi imposero un clima di terrore che accrescesse il loro status divino e lo racchiusero nei concetti religiosi. E influenzando le deboli menti umane sono riusciti a soggiogare l’intera umanità.
E da quel giorno fino a oggi nulla è cambiato, anzi, in questi ultimi diecimila anni hanno affinato le loro tecniche persuasive, grazie all’ausilio degli anatemi religiosi. Noi tutti stiamo vivendo in una società il cui potere sta per raggiungere l’apice del suo dominio. Gli studiosi lo chiamano progresso civile e industriale, ma in realtà è un assembramento di tutte le dinamiche che muovono la società odierna, che può essere racchiuso nei concetti su cui si fondano i sistemi bancari e finanziari.
Ma chi ideò questi metodi ?


La storia focalizza questo sistema intorno al XII secolo per opera dei famosi Templari, quindi da una casta massonica. Ma i Templari, le cui origini sono celate o forse perdute, erano la mano armata, pedine sacrificabili, a servizio di un potente ordine occulto: l’Ordine di Sion. Un ordine sulla cui natura sia delle finalità sia dei suoi membri, è ancora oscuro.  E non mi meraviglierei se dietro a questo ristretto gruppo di persone ci sia stato, e probabilmente c’è ancora, la guida di un “dio”, giunto chi sa da dove per governare la Terra. I racconti epici della storia di questo particolare periodo rilevano una sorta di pax divina, tuttavia, è proprio in questo periodo che le controversie divine da atti fisici si trasformano in subdoli attacchi mediatici, portando le civiltà di quel tempo a mediare tra l’una e l’altra parte. Difatti, l’Ordine di Sion appare per la prima volta intorno al 46 d.C., cioè dopo la presunta morte di Gesù, i cui adepti furono gli stessi che avrebbero salvato la vita al proprio Maestro.
Questi uomini compresero che servendosi dell’imposizione religiosa avrebbero acquisito e conquistato il dominio assoluto sulla Terra. Ovviamente in tale contesto non facciamo emergere i concetti ufologici secondo i quali gli antichi dèi in realtà erano delle razze provenienti da altri mondi, il cui scopo è le risorse vitali della Terra, anche i riferimenti agli antichi dèi ne palesano la sostanza.
Quindi a quel punto avviarono un progetto che si sarebbe sviluppato lungo due linee parallele:  una religiosa, l’altra di tipo economico. Difatti, quando il loro potere religioso entrò a far parte del tessuto e corredo antropologico delle comunità di quel tempo, lanciarono la seconda fase: la creazione delle banche e guarda caso a realizzarle per primi furono i Templari. Nove uomini dichiaratisi monaci, che ottengono dei privilegi che nessuno fino a quel momento era riuscito a ottenere. Tali privilegi gli permisero di diventare in breve tempo l’ordine massonico più potente della storia umana. D’allora a oggi quelle brevi regole bancarie si sono talmente affinate e concentrate che non serve una mente analitica per capire che quei pochi uomini, oggi, hanno raggiunto l’obiettivo: concentrare le ricchezze del pianeta in un’unica fonte di potere.




 Un potere che si consolida giorno dopo giorno coadiuvato da quel senso di paura che queste società imprimono dal singolo alle masse. Banca, un termine che oggi angoscia il 95 % della popolazione, nei cui riguardi, semplici persone, società, artigiani e imprenditori, esprimono una riverenziale sottomissione.
In molti sono convinti che nell’interno di queste strutture ci lavorano amici che all’occorrenza li aiuteranno, ma n on è così. Questi istituiti non hanno amici, i loro padroni sono esseri senza scrupoli e tu, che pensi di essere un privilegiato in realtà sei una sequenza di numeri, un donatore di denaro, che una volta spremuto vieni gettato nel secchio dell’immondizia.
Tuttavia grazie alla lungimiranza di alcuni, oggi, sono emersi degli strumenti che permettono di bloccare questo dissanguamento economico, ma per accedervi dovremmo scalzare tutto il marciume che c’è stato instillato in millenni di sottomissione.
Ci sono persone che ancora oggi, alla presenza di un semplice prevosto bancario si inchinano come lo si faceva al tempo del feudalesimo e anche prima, come se quell’individuo fosse un dio e per aggraziarsi i suoi favori si sottomette incondizionatamente, ma quell’uomo altri non è che un piccolo burattino manovrato dal grande puparo che impartisce ordini, usanze e tendenze, ma forse lui non sa, e qualcuno dovrebbe dirgli, che come tutti gli altri anche lui deve morire.  
  


  Copyright 2016 Angelo Virgillito

martedì 8 novembre 2016

RITORNO ALLE ORIGINI

   Ci sono aspetti della vita, circoscritti nella nostra sfera emotiva, che se analizzati nella giusta prospettiva ci forniscono delle tracce, degli indizi che, il più delle volte, indicano il cammino che dovremmo percorre in questa dimensione, per accrescere la nostra evoluzione quantica. 
   Ma qualcuno ci indusse a credere che il nostro pensiero primitivo non fosse abbastanza evoluto da comprenderne a pieno il significato, inducendoci a cambiare le nostre logiche mentali su una falsa realtà.
   Ci hanno indotto a credere in forze divine e in uomini prodigiosi e in loro nome milioni di creature si sono immolate e continuano a farlo ancora oggi. Ci hanno inserito in un sistema dal quale non si può sfuggire se non con la morte.



  Ci hanno indotto a eseguire le nostre funzioni di creature terrestri come automi subordinati e sacrificabili.
    Potrebbero essere concetti di natura filosofica, magari dettati da un evento traumatico, ma provate a raggiungere un luogo affollato e cercate nei gesti, nei comportamenti di chi vi sta intorno il senso di ciò che essi vivono, vi rendereste subito conto quanto malessere si sprigiona nell'aria, saturandola. E non c'è modo di uscirne. 
  

 Gli studiosi ci definiscono una razza bellicosa, ma lo siamo davvero?
   Ritengo di no, le nostre azioni sono indotte da chi pensa di poter governare il pianeta, spingendoci ad abbracciare un credo religioso, o schierandoci su ideologie politiche destinate all'arricchimento personale di una particolare elite di persone. 
   Ci illudiamo d'essere dei privilegiati, ai quali tutto è permesso persino distruggere la nostra stessa esistenza. Le nuove generazioni avviluppate dal progresso tecnologico hanno reciso ormai, quel piccolo lembo che ci legava alla nostra vera natura, perché, in quanto tali, non si rendano conto che noi sono parte integrante di un complesso ciclo cosmico.
   Ma è, altresì vero che spronati, spinti, guidati dal contesto societario in cui viviamo, abbiamo dimenticato l'importanza della nostra essenza. 
   Così ci ritroviamo a inseguire mete e traguardi irraggiungibili. La storia non è Storia è una farsa teatrale scritta solo per ingannarci, assoggettarci e renderci schiavi di chi realmente ha il destino dell'umanità nelle sue mani. 
    Eppure demolire questo "sistema" non occorrono guerre o stermini di massa, è sufficiente spostarsi per iniziare a vedere ciò che fino ad oggi c'è stato precluso. Non essere bieco, ma impara a pensare con la tua mente, non accettare ogni informazione come se fosse un dogma religioso, analizza da più prospettive eventuali e diversificate ipotesi, vedrai che pian piano il mondo ti apparirà diverso e più a tua misura. E mentre la tua mente si evolve nei nuovi schemi neuronici il "Sistema" inizia a perdere la sua voracità. 
   Riconnettersi con ciò che realmente noi siamo è l'unica strada percorribile per la nostra stessa evoluzione.


COPYRIGHT by Angelo Virgillito

domenica 4 settembre 2016

"IL CUSTODE" il mio primo romanzo !!!

Salve amici voglio rendervi partecipi del mio ultimo lavoro (ancora in corso d'opera). Qualche tempo addietro ho deciso di cimentarmi a scrivere il mio primo romanzo autobiografico. L'ho voluto ambientare in uno scenario fantascientifico, perché mi sembra molto più realistico delle storielle che la scienza ufficiale ci propina di continuo. La storia è quella di un giovane che a seguito di una serie di circostanze sarà istruito e guidato da un gruppo di creature non terrestri a divenire il custode di segreti millenari.
Quello che segue è la prima stesura del primo capitolo.


CAPITOLO PRIMO


Lungi da l’anima
nostra il dolore, veste cinerea.
È un misero schiavo colui
che del dolore fa la sua veste.

Gabriele D’Annunzio,
Canto dell’ospite, dal Canto novo.

A
lfredo, quella mattina era uscito da casa più arrabbiato del solito, perché ancora una volta aveva litigato con il padre che, da quando aveva perso la moglie, ingurgitava litri d’alcol a ogni ora del giorno e della notte. Era l’ennesima lite che Alfredo affrontava quotidianamente con il padre nel vano tentativo di allontanarlo da quell’ossessione, che lo perseguitava ormai da diversi anni, ma era con le fobie allucinatorie di Sebastiano che Alfredo doveva confrontarsi ogni giorno. Era l’angosciante situazione che si era venuta a creare con la morte di Regina, mamma di Alfredo, per la quale Sebastiano, suo padre, non riusciva più a darsi pace, affogando il proprio dolore nell’alcol.
Tutto ebbe inizio a Tumilia diversi anni fa in quel piccolo paesino arroccato su una collina vulcanica, che secondo gli storici, risaliva addirittura al periodo del tardo pleistocene e, da quando poi, un decennio addietro, durante alcuni scavi nella parte antica del paese, per la ristrutturazione di una vecchia abitazione, alcuni operai riportarono alla luce dei resti fossili, il piccolo centro divenne l’ombelico del mondo. Archeologi, antropologi, geologi, studiosi, fotografi, cameraman televisivi, giornalisti sia nazionali sia stranieri accorsero a frotte, per filmare, fotografare, sviluppare ipotesi scientifiche, parascientifiche e persino assurde. Comunque sia da quel giorno il piccolo centro di Tumilia fu innalzato agli albori delle cronache e annoverato come uno dei siti archeologici di epoca preistorica più importanti del pianeta. La scoperta scosse notevolmente la quiete e le abitudini della piccola comunità. Occorsero settimane per riportare il paese alla normalità, anche se di tanto in tanto dei gruppi di studiosi e ricercatori agitavano un po’ le acque con domande, a volte persino fastidiose. Ciò non di meno la scoperta aveva rinvigorito l’economia del paese, o almeno di quelle piccole trattorie secolari, dove il più delle volte erano i luoghi di svago serali della maggior parte degli abitanti del borgo. L’unico amareggiato e scontento di questa nuova scoperta scientifica fu il proprietario della casa, che dal momento della scoperta si vide, per ovvie ragioni, espropriare quel piccolo lotto di terra sul quale aveva riposto le speranze future di tutta la sua famiglia.
Ovviamente l’amministrazione comunale si attivò per conferirgli un altro lotto di terreno un po’ più grande ma, decisamente, in una zona disagevole e parecchio distante dall’unica piazza principale del paese. Al contadino non rimase altro da fare che accettare a una condizione: che il comune si facesse carico anche delle spese per la costruzione della nuova abitazione. L’importanza della scoperta fu così eclatante, tanto che agli storici fu richiesto di riscrivere alcune pagine sull’evoluzione preistorica della zona, che accettarono di realizzare la nuova abitazione a spese dei contribuenti comunali. 
La storia di Tumilia, raccontata negli antichi scritti, narra che quel territorio era stato sempre abitato dall’uomo, fin dalla sua comparsa sulla terra, milioni di anni fa. Posto su un promontorio collinare, la cui sommità formava un piccolo altopiano pianeggiante di forma semicircolare che si affacciava su una lussureggiante valle, manifestava la sua troneggiante fierezza. Dalla sua vetta poi, si riusciva a scorgere persino la lontana costa bagnata da un mare spumoso, le cui onde infrangendosi sulle frastagliate rocce, volteggiando cantavano il loro inno alla vita.
Su quest’ampia radura collinare, che dominava l’estesa pianura sottostante, una grande roccia basaltica, emergeva dal ventre della Grande Madre che, con i suoi picchi acuminati, padroneggiava l’intero versante orientale della valle. Quella sua forma agugliata era una vera opera d’arte, scolpita dall’estro di Madre natura e posta in quel luogo come simbolo di bellezza, possanza e dominio. I molti viaggiatori che per quella valle fiorita e carica di profumi sono passati, la cui umana memoria ricordi, i loro sguardi non distoglievano da quel promontorio. Ammagliati da così tanta maestosità ed eleganza e in cuor loro pensavano che a scolpire quel luogo fosse stata la possente mano di Dio. Da quella cattedrale di muta roccia, magicamente, fuoriusciva un copioso rivolo d’acqua, che fu fonte di vita da quando l’uomo comparve in quell’eden di rigogliosa natura. La più pura e limpida acqua che, l’uomo, abbia mai visto o bevuto e in molti, ancora oggi, credono che quell’acqua abbia dei poteri curativi e persino miracolosi. Gli anziani osavano dire e forse era anche vero, che quel luogo, da sempre, era un posto con poteri straordinari e, per le stranezze della natura a rafforzare quest’idea, nei cuori dei suoi abitanti, c’era la convinzione secondo la quale la longevità della cittadinanza era dovuta a quell’acqua miracolosa.
Forse qualcosa di miracoloso c’era veramente in quel pianoro, la cui idea scaturisce da una riflessione sugli aspetti fisici, geologici ed elettromagnetici presenti in quest’area. Infatti, se poniamo in connessione tutti questi fattori scientifici, come la stretta vicinanza alla caldera vulcanica dimora degli dèi pagani e le forze energetiche, che attraversando tutto il pianeta, orizzontalmente e trasversalmente, notiamo che intersecano centinaia se non addirittura migliaia di volte tra loro, creando dei punti nodali di grande forza e lucentezza. Se poi le facciamo interagire con gli aspetti fenomenici della Natura insieme con quelli metafisici, il risultato e ciò che da questo luogo scaturisce. É un flusso d’energia che si pone in relazione con il tutto, con le energie fluttuanti dell’universo, con ogni particella creatrice della materia, perché in esso vive e muore la vita in tutte le sue forme, in una spirale eterna.   
Gli uomini superavano i cent’anni di età senza sentirne il peso, mentre le donne si mantengono belle fino a tarda età. Visto da lontano il piccolo borgo offre un panorama mozzafiato, di sera poi, le luci fioche delle abitazioni sembrano piccole stelle che s’innalzano al cielo.
La famiglia di Alfredo ha sempre vissuto in questo luogo dal fascino misterioso e arcano. Si narra che il suo casato discende dai padri fondatori del piccolo borgo e che da una generazione all’altra, hanno contribuito allo sviluppo e alla crescita del paese. La famiglia di Alfredo e fin dove giunge la memoria degli antichi annali, era considerata la pietra miliare, la guida della comunità e cosi via, dimostrando sempre un’umiltà e un senso di fratellanza nei confronti della comunità, che al sol raccontarlo non ci si crede.


 
ATTENZIONE le foto non sono quelle che appariranno nel libro

      Il nonno di Alfredo, raccontano gli anziani del borgo, durante la seconda guerra mondiale, impedì, con un banalissimo stratagemma, che quel gruppo di tedeschi giunti in paese durante l’occupazione nazista, sterminassero la popolazione locale. Invero, quando in paese si diffuse la notizia che una piccola forza d’attacco nazista stava avanzando per occupare la borgata di Tumilia, il nonno di Alfredo predisposte un piano azzardato, che avrebbe salvato sia gli abitanti del paese, sia le loro abitazioni e, soprattutto i loro averi. Infatti, quando il contingente nazista fu in prossimità del paese, l’ufficiale in comando predispose i suoi uomini per fronteggiare l’eventuale resistenza degli abitanti di quel piccolo e sperduto borgo di campagna, ma quando videro che l’intera popolazione gli andò incontro, sventolando bandiere e urlando slogan germanici furono disorientati. Ben presto si ritrovarono a socializzare gli uni con gli altri. Gli dissero che quella comunità era di origini nordiche e, per tal motivo si consideravano degli esuli in una terra straniera. L’intero battaglione nazista restò attonito di fronte alla storia che gli anziani del borgo raccontarono. Furono così bravi che non occorse molto tempo per convincere quella forza d’occupazione.I pochi che hanno avuto la fortuna di ascoltare o di essere stati così fortunati da poter leggere la storia del loro casato, ne sono rimasti affascinati; sembrava che la famiglia di Alfredo si fosse materializzata da un libro di favole. Ma la realtà era ben diversa, perché nei loro cuori e nelle loro menti custodiscono uno dei segreti più reconditi della storia umana. Non avevano capacità sovraumane o chi sa cos’altro, ma erano capaci di trovare sempre una soluzione per salvare o scampare a ogni evento che nel corso della storia del piccolo borgo, aveva messo in serio pericolo la sopravvivenza dei suoi abitanti, come se una forza invisibile guidasse il loro intelletto. 
Ci fu un giorno che uno degli ufficiali, durante un banchetto offerto dagli anziani del borgo e dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, di quel saporito nettare, che soltanto le vigne della zona riuscivano a produrre, affermò: “Questo luogo è strano, a volte, ho la sensazione di essere avviluppato e racchiuso in una bolla incantata … se qualcuno me lo descrivesse, penserei che mi stesse raccontando una di quelle fiabe dove maghi e fate hanno il compito di proteggerne i luoghi!”.
Forse, quell’ufficiale nazista non era poi, tanto lontano da una verità arcana, magari non erano maghi e fate a proteggere il borgo e i suoi abitanti, ma altre forze ben più poderose e occulte.
 Quei soldati tedeschi rimasero a lungo nel paesello e, per tutto il tempo della loro permanenza furono trattati come fratelli e non fu gli dato nessun motivo per dubitare di questo loro comportamento, anche se a ogni loro passo o capannello c’era sempre qualcuno del paese che spiava le loro mosse.
Le informazioni viaggiavano più veloci del vento, mentre il nonno di Alfredo con il resto degli anziani disponeva, di volta in volta, il da farsi, questo fino a quando le sorti della guerra non volsero in favore degli alleati. Tuttavia, quando al comandante della guarnigione nazista gli fu ordinato di abbandonare la zona e retrocedere nelle retrovie, gli abitanti continuarono la loro commedia e come alcuni anni prima gli andarono incontro ricevendoli festosamente, ora li accompagnavano fin all’uscita del paese, salutandoli per l’ultima volta. Soltanto, quando furono ben lontani i tumilesi, si lasciarono andare in festose grida di gioia e per tre lunghi giorni festeggiarono la loro salvezza.


 
ATTENZIONE le foto non sono quelle che appariranno nel libro




 Un altro eroico episodio scritto negli annali del paese, vide protagonista il trisavolo di Alfredo, il quale fece credere a un ufficiale di Napoleone che l’acqua avesse delle proprietà miracolose e chi ne avesse bevuto, avrebbe ricevuto grandi doni e più acqua avrebbe bevuto più doni avrebbe ricevuto. Si narra che Napoleone ordinò di far riempire migliaia di barili con l’acqua di quella fonte e, per gratitudine, lasciò persino un forziere pieno d’oro che gli abitanti del borgo, in seguito utilizzarono per rafforzare e consolidare il borgo, quando le truppe francesi lasciarono la zona.
Infine un altro antenato di Alfredo, insieme con altri quattro suoi valorosi amici appartenenti al suo stesso clan, nei primi anni del secondo millennio, fu costretto a ingaggiare una furente battaglia contro un enorme drago, che in quel luogo aveva deciso di costruirsi il suo nido. E dopo aver preso il suo cuore e la sua anima, seppellirono ciò che restava di quella creatura infera sotto l’antico e unico ingresso della pianura. Fu seppellito in quel luogo, racconta la leggenda, affinché la sua anima immortale, ormai domata, proteggesse il villaggio dalle forze del male. E sembra che da quel giorno a oggi, il piccolo centro di Tumilia, sia riuscito a mantenere integro il suo corso evolutivo, anche se qualche scossone nella sua lunga storia ha fatto vacillare l’integrità morale ed economica del paese.
Ovviamente non sono mancate le difficoltà, ma tutte si sono risolte come se avessero avuto uno sviluppo inatteso quasi magico, dovuto forse, all’onnipresenza dell’anima di quella creatura leggendaria........



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