Condurre un’indagine
sul passato dell’umanità, nonostante gli strumenti e gli studi condotti da
illustri predecessori, richiede molto tempo e non sempre i risultati appagano
gli sforzi compiuti. Si vorrebbero colmare tutte quelle lacune che l’establishment
scientifico e accademico, in decenni di ricerche, ha volutamente accantonato
solo perché, tali informazioni, non rientrano nei paradigmi imposti dalla
scienza. Eppure sono proprio questi dati, piccole tracce in verità, che ci
permettono di riallacciare periodi, fatti ed eventi verificatisi nel corso
della nostra breve storia su questo pianeta. Siamo chiamati a confrontarci con
gli aspetti più arcaici della nostra evoluzione e, di conseguenza avere quelle
conoscenze storiche, scientifiche e religiose in uso all’alba della nostra
genesi ed è frustrante costatare che, il più delle volte, dobbiamo arrenderci
dinanzi alla nostra stessa ignoranza. Oggi, per condurre un’indagine seria, che
possa essere supportata nel costrutto della sua ipotesi, un ricercatore moderno
dovrebbe avere conoscenze che spaziano nel panorama dello scibile umano: dagli
aspetti societari all’habitat, dai primitivi rituali alle complesse pratiche
religiose, dai primi rudimenti industriali alle complesse attività che hanno
permesso all’uomo di sviluppare, gradatamente, la società in cui viviamo.
Eppure in tale panorama le incongruenze storiche e scientifiche nella maggior
parte dei casi contrastano con i fatti e gli eventi registrati nella storia del
nostro recente passato.
Come se tutto ciò non fosse sufficiente a
rendere difficoltosa la ricerca a volte dobbiamo fare i conti anche con fenomeni
naturali legati agli aspetti fisici, chimici, biologici che, coincidenze a
parte, mettono a dura prova la nostra pazienza e la capacità intellettiva e
culturale. Potremmo conoscere la storia umana fin nei suoi dettagli, così per
come c’è stata raccontata e nello stesso tempo potremmo avere conoscenze, più o
meno approfondite, in astronomia, in chimica e in fisica, ma n on saremo mai in
grado di conoscere fino in fondo gli aspetti societari, industriali, economici
e religiosi, sviluppatisi nei diversi habitat del pianeta. Dovremmo avere
conoscenze accademiche per comprendere la storia evolutiva della semantica
linguistica delle diverse culture apparse nel corso della storia. Dovremmo
avere la “sfera” di cristallo per interpretare le logiche che spinsero le
comunità preistoriche in una direzione anziché in un’altra.
A chi, ad esempio, non piacerebbe leggere
e comprendere il cuneiforme, la prima scrittura, riconosciuta dal corpo accademico
mondiale. E che ci vuole! Facile a dirsi, poi ci rendiamo conto che, nonostante
la nostra buona volontà e dopo aver consultato diversi libri, l’interpretare
tutti quei ideogrammi richiede anni di studi. Allora decidiamo di spostarci su
scritti molto più vicini alla nostra cultura linguistica: l’accadico, ma anche
in questo caso, nonostante l’assonanza delle lettere (a,b,c, ecc) che
compongono ogni singola parola, ci imbattiamo in una grammatica molto complessa,
dove molte forme verbali addirittura fanno cadere consonanti e vocali,
nascondendole. L’unica soluzione è di affidarci a quei testi già tradotti, ma
anche in questo caso, ogni singola traduzione si differenzia da un’altra e tale
differenziazione è dovuta alla interpretazione soggettiva utilizzata da ogni
studioso. È pur vero che le lingue
parlate sono riconducibili a due classi specifiche: il semitico e l’indoeuropeo,
come è vero che ancora oggi esistono stralci protolinguistici che gli studiosi
non sono stati in grado di decifrare, come gli ideogrammi, incisi su delle
pietre, riconducibili al popolo della ceramica a solchi. Furono
soprattutto le tavolette di Tartaria[1],
località presso Turdas[2], in
Transilvania, sulle quali gli archeologi trovarono delle incisioni su delle
tavolette di graffite argillosa, che inizialmente furono datate intorno al
4.000 a.C., i cui simboli raffigurati furono simili a quelle rinvenute nelle
pietre megalitiche nei vari henges[3]
inglesi.
una riproduzione delle antiche tavolette di Tartaria, proveniente dal sito https:/alienifranoi.wordpress.com/ |
La
disputa accademica che ne scaturì ancora oggi è accesissima. Nel 1962
l’archeologo Sinclair Hood, direttore
della British School of Archaeology di Atene, scrisse un articolo, parte del
quale è stato riportato dai due ricercatori Christopher Knight e Robert Lomas,
nel loro libro La civiltà scomparsa di
Uriel[1],
nel quale si legge:
I segni riportati sulle tavolette
di Tartaria, soprattutto quelli sul disco n.2, sono così affini a quelli delle
più antiche tavolette di Uruk … da farci ritenere quasi con certezza che esista
una relazione fra i due tipi. Molti sembrano derivare dai segni usati in ambito
mesopotamico per indicare i numerali. La sola differenza è che sulle tavolette
mesopotamiche, per i numerali l’intera forma del segno viene impressa
nell’argilla, usando uno stilo a punta arrotondata, mentre a Tartaria veniva
tracciato soltanto il contorno del segno corrispondente.
Inoltre l’illustre archeologo aggiunse che
alcuni segni delle tavolette di Tartaria somigliano anche a quelli ritrovati
nelle iscrizioni minoiche rinvenute nell’isola di Creta. Per la serie: non
facciamoci mancare nulla, i due ricercatori, come se il panorama non è
abbastanza complicato, aggiungono che
[…] esiste un’altra possibilità: i
due popoli potrebbero avere ereditato una terza tradizione, comune a entrambi.
In effetti, abbiamo trovato prove documentali a sostegno dell’ipotesi che sia i
sumeri sia i popoli megalitici d’Europa abbiano subito l’influenza di una fonte
comune e anteriore di registrazione simbolica. La “Tavola di Gradesnica”,
trovata a Vratsa, nella Transilvania, presenta a sua volta distinte analogie
con le iscrizioni megalitiche e i caratteri simbolici elamiti, e risale a
un’epoca fra i 6000 e i 7000 anni fa. Un sigillo di 5500 anni fa, trovato a
Karanovo, reca incisioni analoghe sia nei segni sia nella scrittura sumerica.
Rudgley riassume bene la situazione: l’idea di poter attribuire all’Europa,
anziché all’Asia, l’invenzione della scrittura, per la maggioranza degli
studiosi è troppo strampalata perché sia accolta. Ma una volta accettata la
nuova cronologia stabilita con il metodo del radiocarbonio, restava soltanto
una spiegazione possibile: giacché le tavolette di Tartaria erano antecedenti
rispetto alla scrittura sumera, non potevano essere una vera forma di scrittura,
e la loro apparente somiglianza diventava una semplice coincidenza. Da quando
le cose hanno preso questa piega … il sistema di Vinca è caduto in un relativo
oblio, almeno per quanto riguarda l’impostazione teorica prevalente presso gli
archeologi.
[1] Christopher Knight e Robert Lomas: La civiltà scomparsa di Uriel –
Mondadori – 1999/2001 – Milano.
[1] Le tavolette
di Tǎrtǎria sono tre reperti
archeologici rinvenuti a
Salistea, in Romania. Esse recano incisi dei simboli che sono stati oggetto di
notevoli controversie tra gli archeologi, alcuni dei quali sostengono essere
trattarsi della prima forma conosciuta di scrittura al mondo. Le tavolette sono
generalmente associate alla Cultura di Vinca, che all'epoca della scoperta era
ritenuta dagli archeologi rumeni e serbi risalente al 2.700 a.C. Vlassa
interpretò la tavoletta senza foro come una scena di caccia e le altre due come
testimoni di una scrittura
primitiva simile ai primi simboli utilizzati dai Sumeri. La scoperta suscitò un
grande interesse nel mondo archeologico poiché i segni erano precedenti alla
Lineare A, la prima scrittura minoica, la più antica conosciuta in Europa. È
stato suggerito da alcuni che i simboli indichino una sorta di collegamento tra
l'Europa sud-orientale e i Sumeri. Tuttavia, le successive datazioni al
radiocarbonio su i reperti di Tărtăria hanno retrodatato gli oggetti al 5.500
a.C. (e quindi tutta la cultura di Vinča era più antica), lo stesso periodo dei
primi insediamenti a Eridu (quest’affermazione,
comunque, non è da tutti accettata per evidenti contraddizioni nella
stratigrafia del sito). Se i simboli fossero, di fatto, una forma di scrittura,
questa sarebbe notevolmente anteriore alla più antica scrittura sumera o
egizia, divenendo, di fatto, la più antica conosciuta al mondo. Tale
affermazione è tuttavia molto controversa.
[2] Turdaș è
un comune della Romania, ubicato nel distretto di Hunedoara, nella regione
storica della Transilvania.
[3] Un henge è una struttura architettonica
preistorica. La forma è quasi circolare o ovale disposta su un'area
pianeggiante di circa 100 metri di
diametro racchiusa e delimitata da una struttura in terra (earthwork) di
confine che di solito comprende un fossato con un tumulo esterno. La struttura
permette l'accesso all'interno tramite una, due o quattro entrate. Gli elementi
interni possono includere messa in opera di portali, cerchi di pietre, recinti
fatti con blocchi eretti in lunghezza (post rings), cerchi di pietre,
disposizione di quattro pietre (four-stone settings), monoliti, blocchi dritti (standing
posts), fosse (pits), gruppo
di pietre erette (coves), allineamenti di pilastri (post alignments), allineamenti di pietre, sepolture,
cumuli centrali (central mounds), e buche per pali (stakeholes).
A causa delle impraticabilità difensive di un luogo cintato con un cumulo
esterno e un fossato interno (piuttosto che il contrario), si ritiene che le
henges avessero uno scopo rituale, piuttosto che difensivo.Ed è qui che le
difficoltà crescono a dismisura. Si cerca di interpretare non tanto gli scritti
ma ciò che gli stessi celano, nel tentativo che qualche indizio emerga da tali
ragionamenti.
Con mio stupore però, navigando in rete, m’imbatto
in “studiosi” dell’ultima ora che hanno la presunzione di conoscere la “verità”
o di saper interpretare queste forme arcaiche di scritture. Una tale arroganza
e presunzione, è rafforzata dal sostegno di tutti quei seguaci che, ammagliati
e abbindolati, li incoraggiano. È vero che viviamo in quella parte del mondo,
dove ci consideriamo liberi d’esprimere i nostri pensieri, le nostre idee, ma
qui abbiamo superato il confine stesso della degenza scientifica, empirica e
accademica, che viene richiesta a un ricercatore.
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Angelo Virgillito