Nel corso della mia lunga indagine mi sono chiesto spesso quale fosse il legame che univa le popolazioni sumere con le comunità siciliane e alcune risposte le ho trovate nella traslitterazione dei diversi toponimi di quei territori che furono teatro della storia antica, molte altre invece, aspettano, pazientemente, di essere svelate.
La storia, per quanto si siano evolute le popolazioni siciliane, ha la tendenza a
ripetersi, infatti, un'analisi attenta al periodo post-ellenico mette in luce alcune anomalie legate al colonialismo dell'isola. Infatti, con l’espansionismo dell’impero romano, che sarebbe stato
meno invasivo rispetto a quello ateniese, le comunità siciliane dovettero
ancora una volta, abbandonare le vecchie credenze per far posto alle divinità
romane, così accadde anche quando giunsero gli eserciti saraceni e prima di
loro i bizantini. L’apporto sociologico
e religioso che i saraceni imposero alle popolazioni siciliane permise un certo
sviluppo culturale coadiuvato da una certa libertà di culto. Nonostante la
presenza variegata dei culti religiosi, nella Val del Demone, gli
arabi, dal nostro punto di vista, cercarono di riportare alla luce le antiche credenze
religiose legate alle prime comunità che giunsero in terra di Sicilia. Gli
indizi che ci permettono di formulare tale ipotesi sono diversi: dal nome che
diedero sia alla valle sia all’omonimo fiume Simeto, ribattezzandoli
rispettivamente come la valle di Mosè e il fiume di Mosè che, insieme alla
catena montuosa posta a occidente dell’Etna, hanno uno stretto retaggio
mediorientale.
Le connessioni con
le culture mediorientali non si limitano soltanto alla ri-assegnazione degli
idiomi di determinati luoghi che richiamano alcuni aspetti religiosi della
Chiesa delle origini, a essi si accostano anche alcune traslitterazioni i cui epiteti
e radici lessicali sono riconducibili alle antiche divinità sumere. Queste affermazioni
non sono il frutto di mere congetture ma una stretta analisi filologica sulla derivazione
dei toponimi siciliani nella sua forma dialettale, i cui studi hanno dimostrato
che il novantacinque per cento delle parole dialettali siciliane sono di origine
sumera. Una di
queste è il forte legame che intercorre tra l’idioma attribuito alla catena
montuosa a occidente dell’Etna, monti Nebrodi con il dio sumero Nabu, figlio del
dio Marduk e nipote di Enki. Un altro accostamento con il pantheon divino degli
Anunna(ki) lo riscontriamo nell’antico nome che gli arabi imposero al villaggio
di Inessa (antica Paternò)
attribuendogli il nome di Batarnù, il cui significato è molto vicino al significato di: casa di Anu. Un villaggio che inizialmente doveva essere
uno dei luoghi più mistici ed esoterici di tutto il versante orientale
siciliano.
La stessa sorte spettò
anche all’imperioso vulcano etneo, dovuta all’importanza che diedero le
comunità simetine nel suo aspetto religioso, associando la nomea alla
natura fisica del vulcano. Ed è grazie al panorama religioso che gli studiosi
sono riusciti a risalire al nome con il quale questa divinità primeva era
conosciuta in epoca fenicia: Attano. In
seguito, avvenne una separazione di tipo religioso-culturale; il vulcano o le
sue manifestazioni effusive, fu separato dall’aspetto metafisico del dio che
viveva al suo interno. Adranòs quindi divenne una figura prettamente
metafisica, mentre il vulcano fu inteso come una delle esternazioni del
pianeta. D’altronde l’era scientifica, sviluppatasi durante l’epoca greca, ha
ribaltato numerose concezioni scientifiche, che hanno demolito molti dogmi
religiosi preistorici.
Il nome del vulcano
comunque nel corso dei secoli ha continuato a subire trasformazioni: durante
l’epoca greco-romana da Attano
divenne Aetna, derivazione del
vocabolo greco aitho (bruciare) e
tale rimase fino a quando sul suolo siciliano non giunsero gli arabi (VII
secolo d.C.) che lo chiamarono Gibel
Utlamat (montagna di fuoco). Si accompagnarono altre colonizzazioni come
quelle normanne e sveve che, con le loro influenze di tipo indoeuropeo,
storpiarono il termine arabo in Mons
Gibel (il cui significato è: due volte monte).
Nel tardo Medio Evo, le popolazioni isolane
subirono gli influssi della lingua latina e il termine Mons Gibel, ancora una volta, fu trasformato in Mongibello, il cui significato potrebbe
quasi voler rimarcare la possanza della grandezza del vulcano; infatti, la
parola Mongibello ha una doppia
derivazione e significato. Il termine Mongibello,
nella lingua italiana, è un vocabolo che incorpora due termini: mongi che sta a indicare monte, montagna
e djebel, di derivazione araba,
avente il medesimo significato. Di conseguenza quando noi troviamo scritto nei
depliant turistici, il termine Mongibello
è come se stessimo leggendo: “Montagna
Montagna”. Perché i latini ebbero la necessità, di rendere evidente il
valore di questo vulcano, o forse, volevano mettere in risalto la molteplicità
dei suoi significati in funzione del suo aspetto interpretativo, che poteva
essere esoterico, religioso e astronomico, fornendo la traccia o l’indirizzo
per un percorso molto particolare?
Non è un caso o mera congettura se l’Etna si
presta a diverse interpretazioni, le cui cause vanno ricercate tra le
conoscenze di tutti quei popoli che hanno colonizzato l’isola sin dai suoi
primordi. Uno dei suoi accostamenti più espressivi, ad esempio, lo troviamo nell’interpretazione
che gli antichi abitanti del territorio etneo diedero ai famosi Molossi, una sorta di cani divini che
Adranòs, dio della Montagna, pose a guardia del suo tempio ma, come scrissi nel
mio libro “Il tempio perduto degli Anunnaki”:
[…] è probabile che gli antichi nativi dell’isola siciliana che
vivevano a ridosso del vulcano, esprimessero i loro concetti cosmologici e
sacri attraverso questo simbolismo, demandando questo compito al cane/molosso,
che nel nostro caso è o potrebbe essere o far parte del gruppo di divinità, ben
identificabile nella costellazione del Cane, dove luminosa eliacamente sorge la
stella Sirio. Quest’ultima, secondo
alcune cronache mitologiche, è il luogo d’origine degli dèi. Difatti studi
recenti hanno dimostrato che la stella Sirio
o stella del Cane o stella Canicola,
durante le fasi che intercorsero tra il periodo prima del Diluvio e, quello
subito dopo, era visibile soltanto nella parte a sud del 27° parallelo e con il
susseguirsi delle ere precessionali, tale stella si è resa visibile nell’intera
area dell’emisfero settentrionale. Questa particolare quadratura astronomica
potrebbe spiegare la motivazione che spinse gli antichi dèi a costruire i loro
monumentali templi terrestri proprio lungo la linea equinoziale del 30°
parallelo. Se allarghiamo la ricerca cosmologica a tutte le antiche civiltà,
riscontriamo gli stessi concetti religiosi, laddove gli antichi sacerdoti
focalizzavano i loro rituali in direzione della porzione celeste, dove le Pleiadi,
la cintura di Orione e le costellazioni del Canis Major e Minor,
si trovano. Se allarghiamo i diversi punti di vista degli accademici o dei
semplici cultori di storia patria, anche se le teorie più ardite propongono
altre costellazioni, comunque sia i concetti o i rituali magici a esse
correlati si raffrontano nelle stesse interazioni sviluppate nelle antiche
civiltà del passato. Oggi possiamo soltanto ipotizzare quale importanza avesse
la stella Sirio nella cultura delle
entità aliene e perché gli antichi avessero una particolare ossessione per tale
stella. Ci sarà un motivo per il quale le antiche popolazioni abbiano scelto
proprio la costellazione del Cane, rispetto a tutte le altre, magari perché gli
dèi che giunsero sulla Terra provenivano da tale sistema planetario?
Un bagaglio di nozioni che favorì anche una
metamorfosi culturale che influenzò le narrazioni delle antiche leggende
rendendole enigmatiche e criptiche.
L’uomo moderno ha dato una definizione
semplicistica del termine “leggenda”, un concetto legato a fantastici racconti
frutto della fantasia dei suoi narratori, tuttavia un’analisi spettrografia delle
diverse sfaccettature sul contenuto della stessa leggenda, il suo idioma svela il
complesso panorama della sua struttura culturale su cui è stato articolato il
racconto. In definitiva il termine leggenda, dal mio punto di vista, andrebbe
interpretato come
la
storia non scritta e miticizzata di antica memoria!
Un tale pensiero non è soltanto una
definizione letteraria per identificare un particolare racconto, che si
tramanda da una generazione alla successiva, ma è e rappresenta un “insieme”, nel
cui gruppo coesistono tutti gli aspetti sociologici, politici, religiosi,
antropologici ed evolutivi, che sono l’espressione culturale di una particolare
comunità e di un determinato habitat, nel quale ogni civiltà si è sviluppata e
progredita nel corso della genesi umana.
In definitiva le leggende se da un certo punto
di vista sono dei fantastici racconti che risvegliano ricordi di quando eravamo
bambini, durante i quali sognavamo avventure rocambolesche e duelli contro
draghi o maghi cattivi. Dall'altro, ci dobbiamo confrontare con un aspetto,
molto più importante, che può chiarire o farci meglio comprendere, la storia
umana letta da una prospettiva differente, perché tali racconti sono lo
specchio della vita sociale, religiosa, politica ed evoluzionistica di quel
dato tempo, su cui gli studiosi dovrebbero indagare.
Copyriright - marzo 2016 - Angelo Virgillito