venerdì 25 marzo 2016

Le origini delle comunità siciliane sono mediorientali !!!

Nel corso della mia lunga indagine mi sono chiesto spesso quale fosse il legame che univa le popolazioni sumere con le comunità siciliane e alcune risposte le ho trovate nella traslitterazione dei diversi toponimi di quei territori che furono teatro della storia antica, molte altre invece, aspettano, pazientemente, di essere svelate.
  
La storia, per quanto si siano evolute le popolazioni siciliane, ha la tendenza a ripetersi, infatti, un'analisi attenta al periodo post-ellenico mette in luce alcune anomalie legate al colonialismo dell'isola. Infatti, con l’espansionismo dell’impero romano, che sarebbe stato meno invasivo rispetto a quello ateniese, le comunità siciliane dovettero ancora una volta, abbandonare le vecchie credenze per far posto alle divinità romane, così accadde anche quando giunsero gli eserciti saraceni e prima di loro i bizantini.  L’apporto sociologico e religioso che i saraceni imposero alle popolazioni siciliane permise un certo sviluppo culturale coadiuvato da una certa libertà di culto. Nonostante la presenza variegata dei culti religiosi, nella Val del Demone, gli arabi, dal nostro punto di vista, cercarono di riportare alla luce le antiche credenze religiose legate alle prime comunità che giunsero in terra di Sicilia. Gli indizi che ci permettono di formulare tale ipotesi sono diversi: dal nome che diedero sia alla valle sia all’omonimo fiume Simeto, ribattezzandoli rispettivamente come la valle di Mosè e il fiume di Mosè che, insieme alla catena montuosa posta a occidente dell’Etna, hanno uno stretto retaggio mediorientale.


Le connessioni con le culture mediorientali non si limitano soltanto alla ri-assegnazione degli idiomi di determinati luoghi che richiamano alcuni aspetti religiosi della Chiesa delle origini, a essi si accostano anche alcune traslitterazioni i cui epiteti e radici lessicali sono riconducibili alle antiche divinità sumere. Queste affermazioni non sono il frutto di mere congetture ma una stretta analisi filologica sulla derivazione dei toponimi siciliani nella sua forma dialettale, i cui studi hanno dimostrato che il novantacinque per cento delle parole dialettali siciliane sono di origine sumera. Una di queste è il forte legame che intercorre tra l’idioma attribuito alla catena montuosa a occidente dell’Etna, monti Nebrodi con il dio sumero Nabu, figlio del dio Marduk e nipote di Enki. Un altro accostamento con il pantheon divino degli Anunna(ki) lo riscontriamo nell’antico nome che gli arabi imposero al villaggio di Inessa (antica Paternò) attribuendogli il nome di Batarnù, il cui significato è molto vicino al significato di: casa di Anu. Un villaggio che inizialmente doveva essere uno dei luoghi più mistici ed esoterici di tutto il versante orientale siciliano.


La stessa sorte spettò anche all’imperioso vulcano etneo, dovuta all’importanza che diedero le comunità simetine nel suo aspetto religioso, associando la nomea alla natura fisica del vulcano. Ed è grazie al panorama religioso che gli studiosi sono riusciti a risalire al nome con il quale questa divinità primeva era conosciuta in epoca fenicia: Attano. In seguito, avvenne una separazione di tipo religioso-culturale; il vulcano o le sue manifestazioni effusive, fu separato dall’aspetto metafisico del dio che viveva al suo interno. Adranòs quindi divenne una figura prettamente metafisica, mentre il vulcano fu inteso come una delle esternazioni del pianeta. D’altronde l’era scientifica, sviluppatasi durante l’epoca greca, ha ribaltato numerose concezioni scientifiche, che hanno demolito molti dogmi religiosi preistorici.


Il nome del vulcano comunque nel corso dei secoli ha continuato a subire trasformazioni: durante l’epoca greco-romana da Attano divenne Aetna, derivazione del vocabolo greco aitho (bruciare) e tale rimase fino a quando sul suolo siciliano non giunsero gli arabi (VII secolo d.C.) che lo chiamarono Gibel Utlamat (montagna di fuoco). Si accompagnarono altre colonizzazioni come quelle normanne e sveve che, con le loro influenze di tipo indoeuropeo, storpiarono il termine arabo in Mons Gibel (il cui significato è: due volte monte).

Nel tardo Medio Evo, le popolazioni isolane subirono gli influssi della lingua latina e il termine Mons Gibel, ancora una volta, fu trasformato in Mongibello, il cui significato potrebbe quasi voler rimarcare la possanza della grandezza del vulcano; infatti, la parola Mongibello ha una doppia derivazione e significato. Il termine Mongibello, nella lingua italiana, è un vocabolo che incorpora due termini: mongi che sta a indicare monte, montagna e djebel, di derivazione araba, avente il medesimo significato. Di conseguenza quando noi troviamo scritto nei depliant turistici, il termine Mongibello è come se stessimo leggendo: “Montagna Montagna”. Perché i latini ebbero la necessità, di rendere evidente il valore di questo vulcano, o forse, volevano mettere in risalto la molteplicità dei suoi significati in funzione del suo aspetto interpretativo, che poteva essere esoterico, religioso e astronomico, fornendo la traccia o l’indirizzo per un percorso molto particolare?

Non è un caso o mera congettura se l’Etna si presta a diverse interpretazioni, le cui cause vanno ricercate tra le conoscenze di tutti quei popoli che hanno colonizzato l’isola sin dai suoi primordi. Uno dei suoi accostamenti più espressivi, ad esempio, lo troviamo nell’interpretazione che gli antichi abitanti del territorio etneo diedero ai famosi Molossi, una sorta di cani divini che Adranòs, dio della Montagna, pose a guardia del suo tempio ma, come scrissi nel mio libro “Il tempio perduto degli Anunnaki”:


[…] è probabile che gli antichi nativi dell’isola siciliana che vivevano a ridosso del vulcano, esprimessero i loro concetti cosmologici e sacri attraverso questo simbolismo, demandando questo compito al cane/molosso, che nel nostro caso è o potrebbe essere o far parte del gruppo di divinità, ben identificabile nella costellazione del Cane, dove luminosa eliacamente sorge la stella Sirio. Quest’ultima, secondo alcune cronache mitologiche, è il luogo d’origine degli dèi. Difatti studi recenti hanno dimostrato che la stella Sirio o stella del Cane o stella Canicola, durante le fasi che intercorsero tra il periodo prima del Diluvio e, quello subito dopo, era visibile soltanto nella parte a sud del 27° parallelo e con il susseguirsi delle ere precessionali, tale stella si è resa visibile nell’intera area dell’emisfero settentrionale. Questa particolare quadratura astronomica potrebbe spiegare la motivazione che spinse gli antichi dèi a costruire i loro monumentali templi terrestri proprio lungo la linea equinoziale del 30° parallelo. Se allarghiamo la ricerca cosmologica a tutte le antiche civiltà, riscontriamo gli stessi concetti religiosi, laddove gli antichi sacerdoti focalizzavano i loro rituali in direzione della porzione celeste, dove le Pleiadi, la cintura di Orione e le costellazioni del Canis Major e Minor, si trovano. Se allarghiamo i diversi punti di vista degli accademici o dei semplici cultori di storia patria, anche se le teorie più ardite propongono altre costellazioni, comunque sia i concetti o i rituali magici a esse correlati si raffrontano nelle stesse interazioni sviluppate nelle antiche civiltà del passato. Oggi possiamo soltanto ipotizzare quale importanza avesse la stella Sirio nella cultura delle entità aliene e perché gli antichi avessero una particolare ossessione per tale stella. Ci sarà un motivo per il quale le antiche popolazioni abbiano scelto proprio la costellazione del Cane, rispetto a tutte le altre, magari perché gli dèi che giunsero sulla Terra provenivano da tale sistema planetario?





Un bagaglio di nozioni che favorì anche una metamorfosi culturale che influenzò le narrazioni delle antiche leggende rendendole enigmatiche e criptiche.
L’uomo moderno ha dato una definizione semplicistica del termine “leggenda”, un concetto legato a fantastici racconti frutto della fantasia dei suoi narratori, tuttavia un’analisi spettrografia delle diverse sfaccettature sul contenuto della stessa leggenda, il suo idioma svela il complesso panorama della sua struttura culturale su cui è stato articolato il racconto. In definitiva il termine leggenda, dal mio punto di vista, andrebbe interpretato come

la storia non scritta e miticizzata di antica memoria!

Un tale pensiero non è soltanto una definizione letteraria per identificare un particolare racconto, che si tramanda da una generazione alla successiva, ma è e rappresenta un “insieme”, nel cui gruppo coesistono tutti gli aspetti sociologici, politici, religiosi, antropologici ed evolutivi, che sono l’espressione culturale di una particolare comunità e di un determinato habitat, nel quale ogni civiltà si è sviluppata e progredita nel corso della genesi umana.


In definitiva le leggende se da un certo punto di vista sono dei fantastici racconti che risvegliano ricordi di quando eravamo bambini, durante i quali sognavamo avventure rocambolesche e duelli contro draghi o maghi cattivi. Dall'altro, ci dobbiamo confrontare con un aspetto, molto più importante, che può chiarire o farci meglio comprendere, la storia umana letta da una prospettiva differente, perché tali racconti sono lo specchio della vita sociale, religiosa, politica ed evoluzionistica di quel dato tempo, su cui gli studiosi dovrebbero indagare. 


Copyriright - marzo 2016 - Angelo Virgillito

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