martedì 18 luglio 2017

'U zu Carmelu e gli #UFO !

Dal romanzo di Angelo Virgillito, dal titolo "Il Custode":

 Ammantato da quell’immagine e sovrastato da mille pensieri non si accorse che nel frattempo al suo fianco era giunto u zu Carmelu, membro del Consiglio degli anziani, che intuì la confusione mentale di Alfredo e, dopo qualche minuto: Alfredo! Esclamò l’anziano signore. Alfredo ebbe un sussulto e nel girarsi quasi cadeva. U zu Carmelu lo afferrò per un braccio e sorridendo disse: hei, mica sono il diavolo! Alfredo si giustificò dicendo che era soprapensiero e che non si era accorto dell’amico. Dopo i soliti convenevoli u zu Carmelu[1], con tono serio disse: ti voglio recitare una mia poesia, che scrissi in dialetto molto tempo fa, dal titolo un po’ bizzarro: “Ufo”


ANSU Italia      - Questa immagine proviene dal sito: http://www.ansuitalia.it/Portale/articoli/40-avvistamenti/839-ufo-sullo-stretto-di-messina-il-15-agosto-2013.html


Si parra sempre di strani avvistamenti,
di strani uggetti, di dischi vulanti.
Dicinu puru certi cristiani,
che hanu parrato ccu li marziani.
(trad. Ita. – Si parla sempre di strani avvistamenti,

di strani oggetti, di dischi volanti.
Molte persone dicono pure,
che hanno parlato con i marziani.)

Sti uggetti catanti hanu avvistatu,
corcuno l’ha macari futugrafatu.
Tanti finomini cisù da virificari,
e nuddu si li sapi spiegari.
(trad. Ita. - Questi oggetti che in tanti hanno avvistato,
qualcuno li ha pure fotografati.
Tanti fenomeni ci sono da verificare,
e nessuno li sa spiegare.)



Ma li misteri cchiù stupefacenti,

ca s’hanu vistu macari di ricenti
sunu ddi cerchi d’accussi pirfetti
ca parinu addisignati d’architetti.
(trad. Ita - Ma i misteri più stupefacenti,
che sono stati avvistati anche di recente,
sono quei cerchi di acciaio perfetti,
che sembrano disegnati da architetti.)







Tanti cristiani hanu cuntatu,
cca cu l’ixtraterrestri hanu parratu.
E, internos, s’hanu fattu cunfidari,
ca è na vita ca ni venunu a visitari.
(trad. Ita - Tante persone hanno raccontato,
che con gli extraterrestri hanno parlato,
e in segreto ci hanno anche confidato,
che da sempre visitano la terra.)






Ma ogni vota ca hanu attirratu,
spaventati si n’hanu turnatu.
Pinsavinu ca avissimu migliuratu,
inveci cchiù brutturi hanu truvatu.
(trad. Ita - Ma ogni volta che sono atterrati,
spaventati se ne sono andati.
Pensavano che ci fossimo evoluti,
invece più brutture hanno trovato.)

Hanu vistu guerri continuamenti,
stragi di poviri ‘nnuccenti.
Di guvirnanti latri e fitenti,
di cu pussedi tuttu e di autri nenti.
(trad. Ita. - Hanno visto continue guerre e
stragi di tanti poveri innocenti.
Di governanti ladri e puzzolenti,
e di chi possiede tutto e altri niente!)

Hanu scupertu, allarmati e imputenti,
li malatii e la miseria di certi continenti.

Unni li picciriddi mangiari nun’hannu nenti,
e murinu a mighiara giurnalmenti.
(trad. Ita. - Hanno scoperto, allarmati e impotenti,
molti malati e la miseria in certi continenti.
Dove i bambini non hanno nulla da mangiare,
e a migliaia muoiono giornalmente.)








Dissuru: lu pianeta Terra è veramenti bellu,
picchì l’umani cumminati stu macellu?
Nuatri ci turnassimu festanti e lesti,
a pattu però, ca vi cunsassivu li testi!
 (trad. Ita. - Hanno detto che il pianeta terra è veramente bello,
perché gli umani hanno combinato questo macello?
Noi verremmo volentieri, in allegria e festosità,
a patto pero’ che cambiaste atteggiamento!)


Si canciati rigistru, nun sulu turnamu,
ma ‘nta li nostri pianeti vi invitamu.

La nostra amicizia tutta vi la damu,
ma attualmente, di vuatri ni scandamu.
(trad. Ita. - Se cambiate sistema di vita, non soltanto torniamo,
ma sui nostri pianeti vi inviteremmo,
la nostra amicizia sarà incondizionata,
ma al momento di voi abbiamo paura.





Copyright Angelo Virgillito

[1] Nello Sciuto, poeta dialettale siciliano, autore dell’omonima poesia “Ufo”. 

sabato 15 luglio 2017

LE ORIGINI DELLE PRIME COMUNITA' SICILIANE!

Quello che segue è una prima bozza di uno dei primi capitoli del mio ultimo libro (ancora in fase di stesura) dal titolo: "KATAN - L'EDEN ETNEO DEGLI ANUNNAKI!" 
[...] Sappiamo, dai ritrovamenti archeologici, che l’uomo preistorico era in continuo movimento. Lo studio su questi preziosi reperti anatomici ha permesso ai moderni antropologi di tracciare una mappa più o meno accurata dei suoi spostamenti. Dall’Africa, culla della sua prima comparsa, l’uomo, ha colonizzato tutte le terre emerse, seguendo un particolare percorso. In molti casi si è spinto così lontano da isolarsi dal resto delle altre comunità, perdendo ogni contatto, gli usi e i costumi, e creandone di nuovi. Eppure c’è un simbolo che rileva la stessa origine umana: la spirale aurea. Un simbolo esplicitamente esoterico, la cui alchimia risale alle origini stesse dell’uomo.
          


          È pur vero che le lingue parlate nelle loro complesse strutture semantiche sono riconducibili a due ceppi specifici: il semitico e l’indoeuropeo, com’è vero che ancora oggi esistono stralci proto-linguistici che gli studiosi non sono stati in grado di decifrare, come gli ideogrammi, incisi su alcune pietre calcaree, riconducibili al popolo della ceramica a solchi. Per quanto la storia di questa comunità sia avvolta nel mistero, alcune prove dimostrano una stretta correlazione sociologica con tutte gli altri gruppi umani presenti nell’area Euro-asiatica. Una tra le tante è il metodo di sepoltura utilizzato dal popolo della ceramica a solchi, durante l’età del bronzo, da tutti i popoli euro-asiatici: Campi d’Urne. La cultura dei campi di urne è una cultura della tarda età del bronzo (XIII - metà dell'VIII secolo a.C.), sviluppatasi nell'Europa centrale e diffusasi in tutti i territori europei, compresa la Sicilia, dove scavi archeologici ne attestano la presenza nel tardo età del bronzo. Questa cultura seguì quella dei tumuli (media età del bronzo) e precedette la cultura di Hallstatt (età del ferro).[1]
In seguito fu definita dallo studioso di preistoria Ernst Wagner, che individuò simili caratteristiche presenti in diverse culture regionali contemporanee, per altri versi piuttosto differenziate. La caratteristica principale, dalla quale la cultura prese il nome, venne individuata nell'introduzione del rito funerario della cremazione, al posto della precedente inumazione e dalla sepoltura dei resti cremati in urne. Probabilmente l'introduzione e la diffusione progressiva di nuove credenze religiose comportarono un cambiamento degli usi funerari.

Un tipico tumulo

La varietà dei gruppi regionali appartenenti a questa cultura permette di escludere la presenza di un'uniformità etnica. Marija Gimbutas collegava i diversi gruppi regionali centroeuropei ad altrettante proto-popolazioni: proto-Celti, proto-Italici, Veneti, proto-Illiri e proto-Frigi (nonché proto-Traci e proto-Dori), che si stabiliranno successivamente, attraverso delle migrazioni, nelle loro sedi storiche. Questa migrazione (contestata da alcuni) avvenne durante il periodo denominato collasso dell’età del bronzo e fu forse propiziata da cambiamenti climatici. Molte comunità di contadini-allevatori, supportate da capi-guerrieri, introdussero in varie regioni dell'Ovest e del Sud Europa il nuovo rito della cremazione, nuovi stili ceramici e la diffusione di oggetti metallici in larga scala nonché una nuova religione e le lingue indoeuropee.
Le testimonianze che supportano la diffusione della medesima sintamantica linguistica e le strette connessioni culturali che hanno legato tutte le popolazioni europee, anche se la maggioranza degli studiosi sono in netto disaccordo, sono emerse dal rinvenimento di alcune tavolette. Il rinvenimento di tali tavolette, in seguito denominate come le Tavolette di Tartaria,[2] dalla località presso Turdas,[3] in Transilvania, furono rinvenute, sulle quali gli archeologi trovarono delle incisioni. Tali reperti di graffite argillosa, inizialmente furono datate intorno al 4.000 a.C., i cui simboli raffigurati furono simili a quelle rinvenute nelle pietre megalitiche nei vari henges[4] inglesi. La disputa accademica che ne scaturì ancora oggi è accesissima. Nel 1962 l’archeologo Sinclair Hood, direttore della British School of Archaeology di Atene, scrisse un articolo, parte del quale è stato riportato da due ricercatori internazionali, Christopher Knight e Robert Lomas, i quali, nel loro libro La civiltà scomparsa di Uriel,[5] hanno scritto:

I segni riportati sulle tavolette di Tartaria, soprattutto quelli sul disco n.2, sono così affini a quelli delle più antiche tavolette di Uruk … da farci ritenere quasi con certezza che esista una relazione fra i due tipi. Molti sembrano derivare dai segni usati in ambito mesopotamico per indicare i numerali. La sola differenza è che sulle tavolette mesopotamiche, per i numerali l’intera forma del segno fu impressa nell’argilla, usando uno stilo a punta arrotondata, mentre a Tartaria era tracciato soltanto il contorno del segno corrispondente.




Inoltre, Nicolae Vlassa, l’illustre archeologo rumeno, dopo il recupero di circa sessantadue reperti, i primi di una lunga serie, avvenuto nel 1961, nei pressi del distretto di Alba, oggi ricadente nel comune di Sălistea in Romania, regione storica della Transilvania, aggiunse che alcuni segni delle tavolette di Tartaria somigliano anche a quelli ritrovati nelle iscrizioni minoiche rinvenute nell’isola di Creta. Per la serie: non facciamoci mancare nulla, i due ricercatori, Knight e Lomas, come se il panorama non è abbastanza complicato, aggiungono che

esiste un’altra possibilità: i due popoli potrebbero avere ereditato una terza tradizione, comune a entrambi. In effetti, abbiamo trovato prove documentali a sostegno dell’ipotesi che sia i sumeri sia i popoli megalitici d’Europa abbiano subito l’influenza di una fonte comune e anteriore di registrazione simbolica. La “Tavola di Gradesnica”, trovata a Vratsa, nella Transilvania, presenta a sua volta distinte analogie con le iscrizioni megalitiche e i caratteri simbolici elamiti, e risale a un’epoca fra i 6000 e i 7000 anni fa. Un sigillo di 5500 anni fa, trovato a Karanovo, reca incisioni analoghe sia nei segni sia nella scrittura sumerica. Rudgley riassume bene la situazione: l’idea di poter attribuire all’Europa, anziché all’Asia, l’invenzione della scrittura, per la maggioranza degli studiosi è troppo strampalata perché sia accolta. Una volta accettata la nuova cronologia stabilita con il metodo del radiocarbonio, restava soltanto una spiegazione possibile: giacché le tavolette di Tartaria erano antecedenti rispetto alla scrittura sumera, di conseguenza non poteva essere una vera forma di scrittura, e la loro apparente somiglianza diventava una semplice coincidenza. Da quando le cose hanno preso questa piega … il sistema di Vinca è caduto in un relativo oblio, almeno per quanto riguarda l’impostazione teorica prevalente presso gli archeologi.

Se la datazione al radio-carbonio pone le tavolette di Tartaria, le quali recano incisi dei simboli che sono state oggetto di notevoli controversie tra gli archeologi, alcuni dei quali sostengono che trattasi della prima forma conosciuta di scrittura al mondo e fatta risalire intorno al 5.500 a.C., quindi antecedenti alla comparsa della civiltà sumera e, se essa rappresenta o ritrarrebbe, la più antica scrittura apparsa sul pianeta, potrebbero queste incisioni avere delle correlazioni con il sito di Göbekli Tepe,[6] situato a circa 18 km a nordest dalla città di Sanliurfa, nell’odierna Turchia, presso il confine con la Siria e datato intorno al 9.000 a.C.?
Il sito di Göbekli Tepe sarebbe stato abitato fino all'8.000 a.C., in seguito, per cause ancora sconosciute, fu deliberatamente abbandonato e volontariamente seppellito con terra portata dall'uomo. Perché? Chi era questa comunità che realizzò con tale maestria il complesso archeologico di Göbekli Tepe, per poi abbandonarlo? Le comunità della“cultura di Vinča potrebbero essere i discendenti di quella società che nei millenni successivi si è dispersa lungo tutto l’arco dei Balcani, in particolare in Grecia, Bulgaria, Romania, Ungheria orientale, Moldavia e Ucraina meridionale?



Ed è qui che le difficoltà crescono a dismisura. Si cerca di interpretare non tanto gli scritti ma ciò che gli stessi celano, nel tentativo che qualche indizio emerga da tali ragionamenti. Con mio stupore però, navigando in rete, m’imbatto in “studiosi” dell’ultima ora che hanno la presunzione di conoscere la “verità” o di saper interpretare queste forme arcaiche di scritture. Una tale arroganza e presunzione, è rafforzata dal sostegno di tutti quei seguaci che, ammagliati e abbindolati, li incoraggiano. È vero che viviamo in quella parte del mondo, dove ci consideriamo liberi d’esprimere i nostri pensieri, le nostre idee, ma qui abbiamo superato il confine stesso della degenza scientifica, empirica e accademica, che è richiesto a un ricercatore serio.
Indagare, dunque, sulla storia del nostro passato è un compito arduo e frustrante, anche se, a volte, una piccolissima traccia o indizio, appaga gli sforzi condotti con estrema caparbietà e determinazione. Lo stesso pensiero lo possiamo far fluire nella nostra personale inchiesta e su ciò che accadde nel periodo che precedette la grecizzazione della Sicilia. A questo punto possiamo affermare che tra le culture Vinča,[7] mediorientale prima e tutte quelle che si svilupparono in seguito nell’area euro-asiatica, sono strettamente connesse da una continuità temporale che potrebbe interfacciarsi con i flussi migratori prima e di conquista in seguito, per confermare l’origine delle prime comunità che si insediarono in Sicilia. Quelle stesse comunità che nel V millennio a.C. improvvisamente migrarono in direzione del sorgere del sole, senza un motivo apparente, per poi stanziarsi inizialmente sull’isola di Malta, dove realizzarono delle magnifiche strutture architettoniche, in seguito molti gruppi familiari si sparsero nell’area balcanica. Fecero ritorno nella terra dei loro padri?
Rispondere, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è un’impresa difficile, per la mancanza di riferimenti storici e dalla scarsità di reperti archeologici, molti dei quali ancora oggi sono difficili da interpretare. Il compito diventa quasi ineseguibile quando proviamo ad analizzare la storicità di casa nostra, di quei territori a ridosso dell’Etna. [...]

Copyright  © Angelo Virgillito

[1]La cultura di Hallstatt è stata una cultura dell'Europa centrale dell'età del bronzo e degli inizi dell'età del ferro. Prende il nome dalla cittadina di Hallstatt, nei pressi di Salisburgo (Salzkammergut), nei dintorni del quale è stato trovato il sito principale attribuito a tale cultura. Nel 1846 Johann Georg Ramsauer, direttore delle locali miniere, scoprì una grande necropoli preistorica risalente al I millennio a.C. Gli scavi proseguirono nella seconda metà del XIX secolo, fino al 1876, ad opera dall'Accademia delle scienze di Vienna, portando alla scoperta di oltre mille tombe con una ricca suppellettile funeraria. Gli oggetti si erano conservati particolarmente bene a causa della salinità del suolo.
[2] Le tavolette di Tǎrtǎria sono tre reperti archeologici rinvenuti a Salistea, in Romania. Esse recano incisi dei simboli che sono stati oggetto di notevoli controversie tra gli archeologi, alcuni dei quali sostengono essere trattarsi della prima forma conosciuta di scrittura al mondo. Le tavolette sono generalmente associate alla Cultura di Vinca, che all'epoca della scoperta era ritenuta dagli archeologi rumeni e serbi risalente al 2.700 a.C. Vlassa interpretò la tavoletta senza foro come una scena di caccia e le altre due come testimoni di una scrittura primitiva simile ai primi simboli utilizzati dai Sumeri. La scoperta suscitò un grande interesse nel mondo archeologico poiché i segni erano precedenti alla Lineare A, la prima scrittura minoica, la più antica conosciuta in Europa. È stato suggerito da alcuni che i simboli indichino una sorta di collegamento tra l'Europa sud-orientale e i Sumeri. Tuttavia, le successive datazioni al radiocarbonio su i reperti di Tărtăria hanno retrodatato gli oggetti al 5.500 a.C. (e quindi tutta la cultura di Vinča era più antica), lo stesso periodo dei primi insediamenti a Eridu (quest’affermazione, comunque, non è da tutti accettata per evidenti contraddizioni nella stratigrafia del sito). Se i simboli fossero, di fatto, una forma di scrittura, questa sarebbe notevolmente anteriore alla più antica scrittura sumera o egizia, divenendo, di fatto, la più antica conosciuta al mondo. Tale affermazione è tuttavia molto controversa.
[3] Turdaș è un comune della Romania, ubicato nel distretto di Hunedoara, nella regione storica della Transilvania.
[4] Un henge è una struttura architettonica preistorica. La forma è quasi circolare o ovale disposta su un'area pianeggiante di circa 100 metri di diametro racchiusa e delimitata da una struttura in terra (earthwork) di confine che di solito comprende un fossato con un tumulo esterno. La struttura permette l'accesso all'interno tramite una, due o quattro entrate. Gli elementi interni possono includere messa in opera di portali, cerchi di pietre, recinti fatti con blocchi eretti in lunghezza (post rings), cerchi di pietre, disposizione di quattro pietre (four-stone settings), monoliti, blocchi dritti (standing posts), fosse (pits), gruppo di pietre erette (coves), allineamenti di pilastri (post alignments), allineamenti di pietre, sepolture, cumuli centrali (centralmounds), e buche per pali (stakeholes). Si ritiene che le henges avessero uno scopo rituale, piuttosto che difensivo.
[5] C. Knight e R. Lomas: La civiltà scomparsa di Uriel – Mondadori – 1999/2001 – Milano.
[6] Göbekli Tepe (collina tondeggiante in turco, Portasar in armeno, Girê Navokê in curdo) è un sito archeologico, situato a circa 18 km a nordest dalla città di Sanliurfa nell'odierna Turchia, presso il confine con la Siria, risalente all'inizio del Neolitico, (Neolitico preceramico A) o alla fine del Mesolitico. Vi è stato trovato il più antico esempio di tempio in pietra: iniziato attorno al 9500 a.C., la sua erezione dovette interessare centinaia di uomini nell'arco di tre o cinque secoli. Le più antiche testimonianze architettoniche note in precedenza erano le ziqqurat sumere, datate 5000 anni più tardi. Intorno all'8000 a.C. il sito fu deliberatamente abbandonato e volontariamente seppellito con terra portata dall'uomo. Göbekli Tepe è costituita da una collina artificiale alta circa 15 m e con un diametro di circa 300 m, situata sul punto più alto di un'elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante, tra la catena dei Monti Tauro e il Karaca Dağ e la valle, dove si trova la città di Harran. Il sito utilizzato dall'uomo avrebbe avuto un'estensione da 300 a 500 m².
[7] La cultura di Vinča fu una cultura preistorica che si sviluppò nella penisola Balcanica tra il VI e il III millennio a.C. Nel VI millennio a.C. questa cultura occupava una zona delimitata dai Carpazi a nord, dalla Bosnia a ovest, dalla pianura di Sofia a est e dalla valle di Skopje a sud. La cultura toccò il corso del Danubio, nelle attuali Serbia, Romania, Bulgaria, Macedonia e Kosovo. Gli insediamenti appartenenti alla cultura di Starcevo, rinvenuti negli strati più profondi e antichi di Vinča, erano composti da capanne di fango in cui le persone vivevano e dove venivano sepolte dopo la loro morte. Durante il periodo Vinča, le case erano divenute più complesse, con diverse camere separate da divisori realizzati in legno rivestito di fango. Queste abitazioni erano rivolte verso nord-est e sud-ovest ed erano separate da strade. Gli studi suggeriscono un'avanzata organizzazione e divisione del lavoro. Le case avevano stufe e cavità, appositamente scavate, per i rifiuti e i morti venivano sepolti in apposite necropoli. Le persone dormivano su stuoie di lana e pellicce e utilizzavano abiti di lana, di lino e di pelle. La datazione preliminare di un forno di fusione per il rame a Pločnik sembrerebbe risalire al 5500 a.C. e indicherebbe dunque un inizio in Europa dell'età del rame almeno 500 anni prima di quello che si riteneva. Il forno presenta inoltre una costruzione molto avanzata, con fori di ventilazione che permettevano di alimentare il fuoco e un camino per l'espulsione dei fumi lontano dai lavoratori. Questo tipo di struttura è un unicum, poiché gli altri forni utilizzato per l'estrazione del rame in altri siti non appartenenti a questa cultura, erano generalmente più primitivi.

lunedì 17 aprile 2017

Ka-Tan la terra degli antichi dèi!

Nel 1993 diedi sfogo a una strana sensazione, che da tempo teneva impegnata la mia mente, così un giorno decisi di spostare il mio sguardo al di la dell'orizzonte, intraprendendo un cammino che già sapevo arduo da affrontare, per la mancanza d'informazioni utili a fornire le risposte a quelle miriade di domande che affollavano i miei pensieri. Con il trascorrere del tempo quello che inizialmente doveva essere una semplice ricerca si è dimostrata una vera caccia a quelle verità negate e occultate, della storia umana. La complessità degli argomenti, che abbracciano l'intero scibile umano, via via che vengono approfonditi, diventano sempre più difficili da interpretare. A volte ho la sensazione che giro in lungo e in largo per piccoli corridoi di un labirinto senza vie d'uscita, ma il desiderio d'apprendere, conoscere, fortifica il mio desiderio di andare avanti. Senza accorgermi, anziché riposare dopo aver completato il seguito de "Il tempio perduto degli Anunnaki", che molto presto darò alle stampe, con il titolo: "L’avamposto degli antichi dèi – Un segreto millenario custodito nel sottosuolo della valle simetina", mi sto ritrovando ad affrontare la stesura di un terzo libro, molto più impegnativo e accademico, che dovrebbe chiudere la triologia letteraria sugli Anunnaki in terra di Sicilia. 
E sono talmente entusiasta di questa nuova avventura che vorrei condividere con voi, con tutti voi, un breve stralcio del primo capitolo.

Quello che segue è un breve stralcio del 1° capitolo

... a chi, ad esempio, non piacerebbe leggere e comprendere le prime forme di proto-scrittura, segni e linee che nella maggior parte dei casi sono ancora oggi indecifrabili.  E che ci vuole! Facile a dirsi, poi ci rendiamo conto che, nonostante la nostra buona volontà e dopo aver consultato diversi libri, l’interpretazione di quegli ideogrammi richiede anni di studi approfonditi. Allora decidiamo di spostarci su scritti molto più vicini alla nostra cultura linguistica: l’accadico, ma anche in questo caso, nonostante l’assonanza delle lettere (a,b,c, ecc) che compongono ogni singola parola, ci imbattiamo in una grammatica molto complessa, dove molte forme verbali addirittura fanno cadere consonanti e vocali, nascondendole. L’unica soluzione è di affidarci a quei testi già tradotti, ma anche in questo caso, ogni singola traduzione si differenzia da un’altra e tale differenziazione è dovuta all’interpretazione soggettiva utilizzata da ogni studioso. 
Proviamo a fare un esempio utilizzando il segno che indica la parola “cane”. I Sumeri 6000 anni fa per dire cane utilizzano il termine fonetico UR, quando lo scrivevano sulle tavolette d’argilla però, era tutt’altra cosa


Ma se dovessimo essere noi occidentali evoluti e volessimo tradurre la parola “cane” dall’italiano in sumero, ci limiteremmo a cercare i segni corrispondenti alle sillabe CA e NE. Per nostra fortuna li troviamo nella loro forma accadica KA e NE e li mettiamo insieme


Poi però arriva un sumero, che ha attraversato lo spazio e il tempo e nel leggere questo scritto pensa che ci stiamo riferendo al vulcano etneo, perché per lui Ka è “bocca” e NE è “fuoco”. Di conseguenza bocca di fuoco, difatti, a quel tempo erano i vulcani che eruttavano dalle loro bocche il fuoco rovente delle lave e non può che essere così, d’altronde la scrittura cuneiforme fu inventata dai Sumeri e non certo da noi occidentali. Quei segni incisi con uno stilo avevano dei significati e regole ben specifiche e non possono essere utilizzate a caso.
L’analisi lessicale che fino adesso abbiamo condotto però, evidenzia due aspetti particolari, che stanno alla base delle relazioni cosmologiche e religiose di tutte le civiltà del passato storico, quale punto di congiunzione tra l’uomo e gli dèi. 
Il primo aspetto è l’interpretazione che diamo all’idioma “cane”, poiché tale termine è un netto richiamo astronomico, nello specifico alla costellazione del Cane. Lo stesso dio Adranòs aveva oltre mille segugi (cani) a guardia del suo tempio. 
Nei miti andini o nella cultura precolombiana delle Ande ad esempio, gli antichi sacerdoti associarono il mondo di sotto e quello di sopra ad animali, come il Lama, la Volpe, il Cane, il Rospo e ciascuno di loro aveva la sua controparte divina o immagine speculare nel Cielo celeste. E se consideriamo che quasi tutte le culture del pianeta abbiano associato il cane alla stella Sothis/Sirio, anche per gli egizi essa rappresentava la dèa Sopedet (Sothis), appartenente alla costellazione del Canis Major. Qualche dubbio affiora. 
Questi riferimenti a culture e civiltà lontane, nel loro retaggio storico e religioso, hanno in comune uno stretto rapporto astronomico e cosmologico, dove ogni connessione è riconducibile a quella espressa dai Sumeri, 6mila anni fa. Nel libro di Robert Bauval ad esempio, nel capitolo dove spiega il pensiero di Mercer, uno dei tanti studiosi dei testi delle piramidi , (a lui è attribuita la prima versione in lingua inglese, pubblicata nel 1952, in formato economico), sta scritto:

[…] Mercer fece molto per mettere in luce il fatto che i testi contengono allegorie basate sulle stelle e sui loro moti, riconoscendo che da lì bisognava dedurre i caratteri di un’astronomia mescolata alla mitologia e ai rituali. Il suo studio dimostrava che il tema principale dei testi era radicato nella credenza secondo la quale il re morto sarebbe rinato come una stella e che la sua anima avrebbe viaggiato nel cielo fino a inserirsi nel mondo stellare di Osiride-Orione. Il dio dei morti e della resurrezione: La stella del cane era identificata con Sirio; Orione era identificato con Osiride […] Non è sorprendente trovare un’identificazione di Osiride con Orione […]
Nella cultura andina i cani assurgono a un compito ultraterreno, facendo traghettare le anime meritevoli verso una terra eterna e scacciare in una sorta d’inferno quelle ritenute indegne. Un’altra interpretazione potrebbe essere configurata con il cielo celeste, laddove l’intero panorama cosmologico si sviluppa nella costellazione del Cane. Scrive Murry Hope nel suo libro Il segreto di Sirio:
Le divinità canine sono sempre state associate con gli Inferi, come dimostra il greco Cerbero, custode delle porte dell’Ade, il cane compagno dell’eschimese Sedna, dimorante con la dèa in fondo all’oceano, la sumera Bau, figlia di An, da cui deriverebbe il nostro ‘bau-bau’, e il Cane Nero di Merlino nel folclore celtico, scorta del mago nelle sue visite notturne sulla spiaggia per la raccolta degli ingredienti essenziali agli incantesimi.
E non c’è da meravigliarsi se nella mitologia, legata al vulcano etneo, troviamo una particolare razza di cani a guardia del tempio di Adranòs, associata al Mondo di Sotto; pertanto i riferimenti sono o andrebbero ricercati nel vasto panorama cosmologico o nella devozione dei popoli siciliani nei confronti del loro dio. 
Il secondo punto riguarda il significato intrinseco della sillaba KA, perché anch’essa come per la parola “cane” si apre su un vastissimo panorama, quindi ci chiediamo:
Cos’è il KA? Qual è il suo esatto significato semantico e misterico?
.........
Copyright Angelo Virgillito 

mercoledì 22 marzo 2017

LE DIFFICOLTA' DI UNA RICERCA!

Condurre un’indagine sul passato dell’umanità, nonostante gli strumenti e gli studi condotti da illustri predecessori, richiede molto tempo e non sempre i risultati appagano gli sforzi compiuti. Si vorrebbero colmare tutte quelle lacune che l’establishment scientifico e accademico, in decenni di ricerche, ha volutamente accantonato solo perché, tali informazioni, non rientrano nei paradigmi imposti dalla scienza. Eppure sono proprio questi dati, piccole tracce in verità, che ci permettono di riallacciare periodi, fatti ed eventi verificatisi nel corso della nostra breve storia su questo pianeta. Siamo chiamati a confrontarci con gli aspetti più arcaici della nostra evoluzione e, di conseguenza avere quelle conoscenze storiche, scientifiche e religiose in uso all’alba della nostra genesi ed è frustrante costatare che, il più delle volte, dobbiamo arrenderci dinanzi alla nostra stessa ignoranza. Oggi, per condurre un’indagine seria, che possa essere supportata nel costrutto della sua ipotesi, un ricercatore moderno dovrebbe avere conoscenze che spaziano nel panorama dello scibile umano: dagli aspetti societari all’habitat, dai primitivi rituali alle complesse pratiche religiose, dai primi rudimenti industriali alle complesse attività che hanno permesso all’uomo di sviluppare, gradatamente, la società in cui viviamo. Eppure in tale panorama le incongruenze storiche e scientifiche nella maggior parte dei casi contrastano con i fatti e gli eventi registrati nella storia del nostro recente passato.
Come se tutto ciò non fosse sufficiente a rendere difficoltosa la ricerca a volte dobbiamo fare i conti anche con fenomeni naturali legati agli aspetti fisici, chimici, biologici che, coincidenze a parte, mettono a dura prova la nostra pazienza e la capacità intellettiva e culturale. Potremmo conoscere la storia umana fin nei suoi dettagli, così per come c’è stata raccontata e nello stesso tempo potremmo avere conoscenze, più o meno approfondite, in astronomia, in chimica e in fisica, ma n on saremo mai in grado di conoscere fino in fondo gli aspetti societari, industriali, economici e religiosi, sviluppatisi nei diversi habitat del pianeta. Dovremmo avere conoscenze accademiche per comprendere la storia evolutiva della semantica linguistica delle diverse culture apparse nel corso della storia. Dovremmo avere la “sfera” di cristallo per interpretare le logiche che spinsero le comunità preistoriche in una direzione anziché in un’altra.



A chi, ad esempio, non piacerebbe leggere e comprendere il cuneiforme, la prima scrittura, riconosciuta dal corpo accademico mondiale. E che ci vuole! Facile a dirsi, poi ci rendiamo conto che, nonostante la nostra buona volontà e dopo aver consultato diversi libri, l’interpretare tutti quei ideogrammi richiede anni di studi. Allora decidiamo di spostarci su scritti molto più vicini alla nostra cultura linguistica: l’accadico, ma anche in questo caso, nonostante l’assonanza delle lettere (a,b,c, ecc) che compongono ogni singola parola, ci imbattiamo in una grammatica molto complessa, dove molte forme verbali addirittura fanno cadere consonanti e vocali, nascondendole. L’unica soluzione è di affidarci a quei testi già tradotti, ma anche in questo caso, ogni singola traduzione si differenzia da un’altra e tale differenziazione è dovuta alla interpretazione soggettiva utilizzata da ogni studioso.  È pur vero che le lingue parlate sono riconducibili a due classi specifiche: il semitico e l’indoeuropeo, come è vero che ancora oggi esistono stralci protolinguistici che gli studiosi non sono stati in grado di decifrare, come gli ideogrammi, incisi su delle pietre, riconducibili al popolo della ceramica a solchi. Furono soprattutto le tavolette di Tartaria[1], località presso Turdas[2], in Transilvania, sulle quali gli archeologi trovarono delle incisioni su delle tavolette di graffite argillosa, che inizialmente furono datate intorno al 4.000 a.C., i cui simboli raffigurati furono simili a quelle rinvenute nelle pietre megalitiche nei vari henges[3] inglesi. 


una riproduzione delle antiche tavolette di Tartaria, proveniente dal sito https:/alienifranoi.wordpress.com/


La disputa accademica che ne scaturì ancora oggi è accesissima. Nel 1962 l’archeologo Sinclair Hood, direttore della British School of Archaeology di Atene, scrisse un articolo, parte del quale è stato riportato dai due ricercatori Christopher Knight e Robert Lomas, nel loro libro La civiltà scomparsa di Uriel[1], nel quale si legge:

 

I segni riportati sulle tavolette di Tartaria, soprattutto quelli sul disco n.2, sono così affini a quelli delle più antiche tavolette di Uruk … da farci ritenere quasi con certezza che esista una relazione fra i due tipi. Molti sembrano derivare dai segni usati in ambito mesopotamico per indicare i numerali. La sola differenza è che sulle tavolette mesopotamiche, per i numerali l’intera forma del segno viene impressa nell’argilla, usando uno stilo a punta arrotondata, mentre a Tartaria veniva tracciato soltanto il contorno del segno corrispondente.

 

 Inoltre l’illustre archeologo aggiunse che alcuni segni delle tavolette di Tartaria somigliano anche a quelli ritrovati nelle iscrizioni minoiche rinvenute nell’isola di Creta. Per la serie: non facciamoci mancare nulla, i due ricercatori, come se il panorama non è abbastanza complicato, aggiungono che

 

[…] esiste un’altra possibilità: i due popoli potrebbero avere ereditato una terza tradizione, comune a entrambi. In effetti, abbiamo trovato prove documentali a sostegno dell’ipotesi che sia i sumeri sia i popoli megalitici d’Europa abbiano subito l’influenza di una fonte comune e anteriore di registrazione simbolica. La “Tavola di Gradesnica”, trovata a Vratsa, nella Transilvania, presenta a sua volta distinte analogie con le iscrizioni megalitiche e i caratteri simbolici elamiti, e risale a un’epoca fra i 6000 e i 7000 anni fa. Un sigillo di 5500 anni fa, trovato a Karanovo, reca incisioni analoghe sia nei segni sia nella scrittura sumerica. Rudgley riassume bene la situazione: l’idea di poter attribuire all’Europa, anziché all’Asia, l’invenzione della scrittura, per la maggioranza degli studiosi è troppo strampalata perché sia accolta. Ma una volta accettata la nuova cronologia stabilita con il metodo del radiocarbonio, restava soltanto una spiegazione possibile: giacché le tavolette di Tartaria erano antecedenti rispetto alla scrittura sumera, non potevano essere una vera forma di scrittura, e la loro apparente somiglianza diventava una semplice coincidenza. Da quando le cose hanno preso questa piega … il sistema di Vinca è caduto in un relativo oblio, almeno per quanto riguarda l’impostazione teorica prevalente presso gli archeologi.



[1] Christopher Knight e Robert Lomas: La civiltà scomparsa di Uriel – Mondadori – 1999/2001 – Milano. 


[1] Le tavolette di Tǎrtǎria sono tre reperti archeologici rinvenuti a Salistea, in Romania. Esse recano incisi dei simboli che sono stati oggetto di notevoli controversie tra gli archeologi, alcuni dei quali sostengono essere trattarsi della prima forma conosciuta di scrittura al mondo. Le tavolette sono generalmente associate alla Cultura di Vinca, che all'epoca della scoperta era ritenuta dagli archeologi rumeni e serbi risalente al 2.700 a.C. Vlassa interpretò la tavoletta senza foro come una scena di caccia e le altre due come testimoni di una scrittura primitiva simile ai primi simboli utilizzati dai Sumeri. La scoperta suscitò un grande interesse nel mondo archeologico poiché i segni erano precedenti alla Lineare A, la prima scrittura minoica, la più antica conosciuta in Europa. È stato suggerito da alcuni che i simboli indichino una sorta di collegamento tra l'Europa sud-orientale e i Sumeri. Tuttavia, le successive datazioni al radiocarbonio su i reperti di Tărtăria hanno retrodatato gli oggetti al 5.500 a.C. (e quindi tutta la cultura di Vinča era più antica), lo stesso periodo dei primi insediamenti a Eridu (quest’affermazione, comunque, non è da tutti accettata per evidenti contraddizioni nella stratigrafia del sito). Se i simboli fossero, di fatto, una forma di scrittura, questa sarebbe notevolmente anteriore alla più antica scrittura sumera o egizia, divenendo, di fatto, la più antica conosciuta al mondo. Tale affermazione è tuttavia molto controversa.
               [2] Turdaș è un comune della Romania, ubicato nel distretto di Hunedoara, nella regione storica della Transilvania.
[3] Un henge è una struttura architettonica preistorica. La forma è quasi circolare o ovale disposta su un'area pianeggiante di circa 100 metri di diametro racchiusa e delimitata da una struttura in terra (earthwork) di confine che di solito comprende un fossato con un tumulo esterno. La struttura permette l'accesso all'interno tramite una, due o quattro entrate. Gli elementi interni possono includere messa in opera di portali, cerchi di pietre, recinti fatti con blocchi eretti in lunghezza (post rings), cerchi di pietre, disposizione di quattro pietre (four-stone settings), monoliti, blocchi dritti (standing posts), fosse (pits), gruppo di pietre erette (coves), allineamenti di pilastri (post alignments), allineamenti di pietre, sepolture, cumuli centrali (central mounds), e buche per pali (stakeholes). A causa delle impraticabilità difensive di un luogo cintato con un cumulo esterno e un fossato interno (piuttosto che il contrario), si ritiene che le henges avessero uno scopo rituale, piuttosto che difensivo.Ed è qui che le difficoltà crescono a dismisura. Si cerca di interpretare non tanto gli scritti ma ciò che gli stessi celano, nel tentativo che qualche indizio emerga da tali ragionamenti.


Con mio stupore però, navigando in rete, m’imbatto in “studiosi” dell’ultima ora che hanno la presunzione di conoscere la “verità” o di saper interpretare queste forme arcaiche di scritture. Una tale arroganza e presunzione, è rafforzata dal sostegno di tutti quei seguaci che, ammagliati e abbindolati, li incoraggiano. È vero che viviamo in quella parte del mondo, dove ci consideriamo liberi d’esprimere i nostri pensieri, le nostre idee, ma qui abbiamo superato il confine stesso della degenza scientifica, empirica e accademica, che viene richiesta a un ricercatore. 



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Angelo Virgillito

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