In tutti questi anni ho imparato che la ricerca sulle
origini dell’uomo è un’avventura continua, durante la quale non sempre ciò che
appare è. Quando pensi di aver raggiunto una meta, ti rendi conto, volgendo lo
sguardo sull’orizzonte, che abbiamo percorso appena una decina di metri, nel
lungo cammino a ritroso nella storia, eppure si avverte già il peso delle
centinaia d’informazioni, di segnali e tracce, giunte confusamente da ogni dove,
che offuscano sempre più la via da percorrere per raggiungere la meta
definitiva. Purtroppo la storia umana è stata talmente alterata che quella
sottile linea di confine, che separava la verità dalla menzogna, è stata
cancellata totalmente. Oggi, è difficile riuscire a interpretare anche una
singola traccia storica, archeologica, antropologica sulla natura umana, perché
alla stessa genesi di tale traccia è stata cancellata la sua stessa natura e
identità. Lo stesso è accaduto più volte, nel corso della mia indagine, come
nel tentativo di risalire alla divinità primeva siciliana. Quando pensavo di
esserci riuscito ecco che emergono nuove indicazioni che azzerano tutto il
costrutto fino a quel momento sviluppato. Ho supposto che il dio Adranòs, ritenuta
dagli storici una divinità autoctona siciliana in realtà era la sovrapposizione
dell’epiteto di un dio ancora più antico e di origini semitiche. Oggi però,
alla luce delle nuove informazioni che ho acquisito ho dovuto rivedere l’intera
ipotesi iniziale. Così come ho scritto nel quarto capitolo della mia triologia
legata agli Anunnaki sul suolo siciliano.
Quello che segue è la bozza iniziale.
[…] Una tesi molto plausibile, tuttavia se dobbiamo
seguire il costrutto storico, dovremmo sostenere che le causa che determinarono
la corruzione semantica dell’epiteto del dio, sarebbero da attribuire a una
conseguenza evolutiva dei linguaggi in uso a quel tempo. Ma allora chi era il
dio conosciuto nel II millennio AC, dai nativi siciliani? Una delle congetture
che possiamo formulare, alla luce di tali informazioni è quella secondo la
quale
GIBIL = BAAL
sarebbero
epiteti di un’unica divinità, che assunse posizioni politiche, divine e
amministrative, alternate a seconda di chi assumeva il governo del pianeta. La
questione tuttavia, è molto più complessa di quanto possa apparire in tale
panorama. Ciò non di meno quando ogni informazione, fino adesso elencata,
sembra chiudere il capitolo sulla figura di questa divinità, ecco che indagando
ulteriormente emergono nuove connessioni. Da ciò che sappiamo gli antichi dèi
semitici assumevano epiteti diversi in funzione del territorio che gestivano.
Infatti, gli astronomi sumeri associarono Adad, alla costellazione del Toro, che
a quel tempo era conosciuto con l’epiteto di GU.ANNA, “toro celelste”, il cui
segno rappresentava il dio Adad/Ishkur[1] o Teshub (“dio della
tempesta”), che in sumero si traduceva in “lontane contrade montagnose”, in
riferimento ai domini che questa divinità gestiva sui monti Taurus. Ed è,
altresì, ipotizzabile che, in funzione di tale significato, il nome Adranòs sia
la corruzione semantica del linguaggio delle comunità siciliane, nel definire
il dio Ishkur, al quale, dopo la definitiva sconfitta degli Enkiti, probabilmente,
gli fu assegnato il controllo in diversi territori, nella parte occidentale del
Mediterraneo orientale, tra i quali faceva parte anche l’isola siciliana, sia
la stretta connessione con l’Etna e il promontorio a occidente del vulcano
siciliano, oggi conosciuto come la catena montuosa dei Monti Nebrodi.
Gibil, invece, come abbiamo spiegato nel capitolo precedente, apparteneva
alla stirpe di Enki, Baal fu associato a Marduk suo figlio. Adranòs/Adad, dio
della guerra, invece, apparteneva alla casata del dio Enlil, fu quest’ultima
divinità che s’impose sul suolo siciliano dopo la sconfitta degli Enkiti. Ed è
da quel momento che, nei territori pedemontani e simetini a ridosso dell’Etna,
ogni azione, progetto o progresso sociale, industriale e religioso, svolto
dalle comunità della “Valle del Demone”, rientrerebbe in uno dei tanti progetti massonici, messi in atto da divinità Enlelite.
Ciò spiegherebbe, seguendo il pensiero arabo, quel filo conduttore e le
motivazioni storiche che indussero i saraceni, nella suddivisione dei territori
siciliani, ad attribuire l’epiteto “Val del Demone” ai territori nord-orientali
e adiacenti al vulcano etneo, il cui obiettivo era di riportare in vita quelle
conoscenze a lungo celate tra le comunità etnee e simetine.
Copyright ottobre 2017
Angelo Virgillito
[1] Adad in
accadico e Ishkur in sumero sono i nomi del
dio della pioggia e della tempesta nella mitologia mesopotamica. Il suo nome si
scriveva in sumero d.IM, era il patrono di Karkara. Presso i sumeri era
chiamato anche Immer,
mentre a Babilonia e in Assiria Rammān, "il tonitruante". La divinità accadica è
imparentata nel nome e nelle funzioni con il dio nord-occidentale semitico
Hadad. Durante l'impero babilonese, Adad fu considerato tra le divinità
principali del pantheon e venne definito come figlio di Enlil. La doppia
valenza degli aspetti propri del dio, la pioggia fertile e la tempesta
distruttrice, è presente nel poema Atrahasis e nell'Epopea di Gilgamesh.
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