venerdì 8 dicembre 2017

L’#uomo: #progenie degli #dèi

L’uomo: progenie degli dèi

  


  
Per millenni dunque, l’uomo, dopo la sua nascita, si è evoluto secondo logiche progettuali non terrestri, E gli sbalzi evolutivi, che i moderni studiosi hanno registrato, confermerebbero l’ipotesi secondo la quale alcune variazioni possono essere attribuite a fattori esterni.  Difatti posti in relazione con il tempo che occorrerebbe a una qualsiasi forma di vita a evolversi a uno stadio più complesso, dovrebbero trascorrere diverse centinaia di milioni di anni, come ha dimostrato Darwin, con la sua teoria della specie, secondo una selezione naturale, ma così non è stato per l’uomo. I tempi di Madre natura non erano quelli degli antichi dèi, che in più occasioni hanno interferito, aiutando questa nuova razza a piccoli salti evolutivi. L’esperimento però non dava i risultati previsti o almeno la razza umana non si stava evolvendo secondo i dettami progettuali degli antichi creatori. Processo troppo lento per le necessità degli dèi.
Ne accelerarono l’evoluzione circa 200mila anni fa e da quel momento l’esperimento “uomo” ha subìto continue modifiche da parte dei loro creatori, per migliorarlo e renderlo “a immagine divina”. Fu il Diluvio universale che in fine, permise ai creatori dell’uomo, di eseguire una ristrettissima selezione genetica per migliorare ulteriormente il loro progetto iniziale e, secondo quanto emerge dai continui studi sull’evoluzione umana, tale processo, continua a essere costantemente perfezionato. L’apocalisse che si abbatté sulla Terra, 13mila anni fa, fu catastrofica e soltanto una ristrettissima cerchia di esseri viventi fu salvata dall’estinzione di massa. I creatori furono soddisfatti della selezione e tanto fu la loro contentezza che iniziarono a elargire parte della loro conoscenza. In seguito l’uomo ripopolò il pianeta, mentre gli antichi visitatori elargivano perle di sapere.
Come una droga, dunque, l’uomo si è assuefatto agli dèi, la cui dipendenza gli ha fatto perdere di vista il suo relazionarsi con le forze vitali dell’universo. Fortunatamente non tutto è stato perduto, ancora oggi, gli aborigeni australiani raccontano il loro rapporto con tali energie e a quanto pare non sono gli unici. Molte tradizioni andine, mesoamericane o quelle narrate dagli antichi indiani d’America, solo per citarne alcune, custodiscono ancora gelosamente tali ricordi, anche se per la maggior parte della popolazione mondiale, cosiddetta civilizzata, sono ricordi andati e perduti con l’urbanizzazione e la dipendenza dai poteri deviati di quei governi che vogliono sottomettere l’intera razza umana.
Non possiamo certo paragonarci ai nostri creatori, peccherei di arroganza, ma sono convinto che la mente umana abbia delle potenzialità, le quali, verosimilmente, possono equiparare quella degli antichi dèi; d’altronde ci hanno creato “a loro immagine e somiglianza” e nel crearci molti dei loro geni interagirono con “l’argilla” della terra, con il primitivo genoma dell’Homo Erectus. Se soltanto fossimo un po’ più consapevoli e meno iniqui, la ricerca sulle origini sarebbe la strada più ovvia che l’umanità dovrebbe intraprendere che le permetterebbe di accrescere la propria conoscenza sul ruolo assegnatole nella sfera universale. In tal modo ci renderemmo conto di quanto minuscoli siamo dinanzi alla Creazione e forse, saremmo più inclini a tutelare la nostra stessa esistenza, presente e futura e il mondo che ci ospita.
Sono princìpi e congetture filosofiche diverse, anche se corrono paralleli alla crescita umana, tuttavia le nuove teorie scientifiche sulla genesi dell’uomo trovano il loro maggiore sostegno proprio nella storia delle religioni di tutto il mondo e anche se ognuna di esse racconta a suo modo la venuta del loro dio sulla Terra, tutte convergono formulando lo stesso concetto primevo. Criteri di giudizio che, il più delle volte, sono stati offuscati dai rigidi protocolli messianici o scientifici imposti dalle dottrine ufficiali, i cui sostenitori siano essi religiosi o scienziati, hanno sempre rifiutato un confronto diretto. Eppure l’una non esclude l’altra, come hanno dimostrato molti studi affini a tali discipline e come abbiamo più volte affermato nei capitoli precedenti. La genesi umana di conseguenza va investigata, come sostengono i moderni ricercatori, tra le rovine storiche delle culture primitive, i cui rituali fondati su concetti cosmogonici[1] hanno sviluppato una sintagmatica[2] del tutto coerente con il panorama naturale della preistoria. Una volta compreso tale meccanismo non dissociante ma congiungente, molti ricercatori, più lungimiranti di altri, hanno approntato nuovi metodi di ricerca. Ciò gli ha permesso di riempire tutti i vuoti lasciati dalla scienza e, come se non bastasse, hanno spiegato la veemenza ispirata a devozione degli uomini primitivi nei confronti di creature provenienti dal cielo. Altrimenti non si spiegherebbero, da un certo punto di vista, le necessità dell’uomo nell’edificare tutte quelle strutture megalitiche sparse sul pianeta e la sua stessa presenza evolutiva. Non fu certo un capriccio degli dèi la creazione dell’uomo, ma la necessità di questi ultimi di essere serviti e coadiuvati, alleggerendogli il giogo delle fatiche sostenuto nelle esplorazioni e scavi minerari.
Fu la fatica dunque, secondo la teoria Sicciniana, che spinse gli dèi/alieni a creare una creatura senziente, capace cioè di comprendere i loro comandi, in parte autonoma ma servile. D’altro canto, l’uomo, pur avendo una certa autonomia e gravato dal faticoso lavoro nelle miniere, è sempre rimasto fedele agli insegnamenti dei loro creatori e per far sì che essi fossero sempre presenti nel loro immaginario collettivo, iniziarono a sviluppare un panorama teogonico, dove la natura divina degli dèi fu intercalata negli aspetti fenomenici della natura.
Se volessimo porci la domanda: Perché Dio creò l’uomo? Una risposta retorica e pacchiana, è quella secondo la quale a Dio occorreva un “giardiniere” che accudisse il “giardino dell’Eden”. Infatti, in ogni testo biblico sia esso Cristiano, ebreo o coranico, è scritto a chiare lettere. In Genesi [2,15], ad esempio, troviamo scritto:

Poi il Signore, Dio rapì l’uomo e lo depose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse.



Nell’analizzare questo passaggio c’è da chiedersi: perché Dio dovette rapire l’uomo, per portarlo nel suo giardino di Eden? Potrebbe questo passo biblico, la cui disamina la troveremo più avanti, riferirsi al racconto del rapimento, voluto da Enlil, il dio alieno della razza degli Anunna(ki), di alcune delle nuove creature ibride, cioè gli Adama, i progenitori dell’Homo Sapiens, clonate dal fratello Enki nell’Abzu? Prove che possono convalidare tale pensiero, al momento non soddisfano la nostra ricerca, ma suscitano moltissimi dubbi e opportunità di riflessione.
Le ricerche compiute e gli studi fatti fino ad oggi hanno la tendenza a emarginare tale panorama antico; per i filosofi, ad esempio, sono aspetti mitopoietici lontani dalla realtà di quel tempo. Ciò nonostante alcuni aspetti come il linguaggio, i rituali messianici e alchemici, il rapportarsi con le fogge fenomeniche della natura e lo studio della volta celeste, hanno consentito all’uomo di evolversi secondo precisi paradigmi divini. Tuttavia, e per quanto fosse dotato d’intelligenza, egli, con le sue sole forze, non sarebbe stato in grado di sviluppare tutte quelle discipline scientifiche e tecnologiche, che la storia racconta, senza l’aiuto di una razza superiore. I meriti però non sono da attribuire soltanto agli antichi dèi, anche l’uomo, grazie alla sua capacità di pensare, ha sviluppato i primi rudimenti filosofici e le prime fogge ritualistiche e cerimoniali, servendosi di preparati alchemici e formule magiche, per aggraziarsi i loro creatori.
Platone, Beroso, Manetone, Tucidide, Filone da Biblo e tutti gli altri, oggi, sono considerati i padri della Storia, è grazie ai loro studi filosofici e alle cronache lasciateci in eredità, se in epoca moderna, studiosi e accademici hanno potuto trascrivere parte della Storia umana. Un’anomalia, tuttavia, emerge da tali cronache, perché esse sono state infuse con tutti quei preconcetti lasciatici in eredità dai grandi narratori del passato.
Gli studiosi moderni si sono mai chiesti quali influenze politiche, sociali e religiose hanno determinato la stesura di tali cronache antiche?
E’ una domanda retorica, certo, chiunque si occupi della storia dell’uomo,conosce il contesto storico di quanto tali cronache furono redatte, ciò nonostante nessuno ha mai pensato di epurare tali scritti dalle influenze sociali e comportamentali che le società di quel tempo hanno mitigato. Oggi tali scritti al pari di tanti altri compendi sono la chiave di lettura, le basi grazie alle quali gli accademici e storici moderni hanno potuto ricostruire la storia antica secondo paradigmi convenzionali ed elaborati con metro scientifico, tralasciando tutte quelle parti la cui sfera gravitava nei concetti mitopoietici e filosofici dell’uomo preistorico.
Gli studiosi si sono mai chiesti perché sorsero tre civiltà indipendenti l’una dall’altra con specifiche e caratteristiche uniche:
ü  La prima a emergere fu quella conosciuta con il nome di civiltà Sumera, la quale si avvantaggiò negli studi legislativi, a essi, infatti, si fa risalire il primo codice legislativo della storia conosciuta;
ü  Poi apparve quell’Egizia, la quale fu avvantaggiata nella costruzione d’imponenti strutture megalitiche;
ü  E non certo per ultima in ordine d’importanza apparve quell’Indiana nella valle dell’Indo, la quale ha sviluppato una religione che secondo studi recenti, è la madre di tutte le religioni, lo stesso Gesù, in epoca adolescenziale si recò in India e vi rimase per circa 18 anni, prima di ritornare in Medioriente e divenire il Messia dell’umanità. 
Un altro esempio eloquente lo troviamo nei primi cinque libri dell’Antico Testamento; infatti, quando gli antichi redattori biblici redissero le cronache della genesi umana non poterono esimersi dall’utilizzo di antiche tradizioni sociali e religiose, estrapolate dalla cultura sumerica e da quelle provenienti dal Sivaismo[3] indiano, che influenzarono profondamente il popolo di Dio, cioè gli Israeliti, gli antichi Cananiti. Non dobbiamo dimenticare che gli israeliti erano un popolo di origine Cananita,[4] che nonostante la loro provenienza sumerica, subì il giogo di diverse culture. Infatti, le loro perigrazioni abbracciano un arco temporale molto vasto e persino oggi, il loro territorio è fortemente scosso da implicazioni sociali, politiche e religiose. Dai loro originari territori si spostarono in Egitto, dove vissero per circa 400 anni prima che l’esodo li portasse inizialmente nella penisola del Sinai, dove vissero per circa 40 anni, per poi spostarsi in Mesopotamia, dove nei secoli successivi subirono il giogo di altri popoli e culture diverse, prima di insediarsi definitivamente negli attuali territori della Palestina. Oggi gli studiosi delle religioni sono concordi nell’affermare che il libro sacro degli israeliti, cioè la Bibbia, presenta una serie di affinità con dottrine e tradizioni sviluppate da altri popoli.
Allora perché non può essere accettata l’idea che siano esistiti altri storici, i cui nomi sono andati perduti nei meandri del tempo, che, con i loro scritti,hanno raccontato una storia dell’umanità del tutto coerente con l’evoluzione umana?
Qualcuno potrebbe obbiettare che non esistono prove a suffragio di tali cronache. Niente di più sbagliato!
Le prove della presenza di una razza superiore che giunse sul nostro pianeta migliaia di anni fa, esistono e sono alla luce del sole. Strutture megalitiche sparse sul pianeta, riscontri scientifici delle asserzioni astronomiche redatte da un popolo di 6mila anni fa, manufatti che per la loro struttura non possono essere stati realizzati dalle mani e dagli arnesi in uso nel tardo neolitico; tecniche e tecnologie che la scienza ufficiale non riesce a spiegare, eppure sono lì, alcuni in bella vista altri conservati nei maggiori musei internazionali, e tutti raccontano tutt’altra verità. Una verità relativa, certo ma indiscutibile.
La scienza ufficiale fa fatica ad accettare tali realtà, pur ammettendo che esistono delle difficoltà oggettive nello spiegare determinati e cruciali passaggi evolutivi e tecnologici. La civiltà umana si è sviluppata grazie all’intervento degli dèi e non perché è stato l’uomo a crearla. Troppo repentini sono stati i balzi evolutivi per essere attribuiti all’evoluzione naturale. L’uomo dunque fu creato e utilizzato dagli dèi come uno strumento per migliorare le proprie condizioni ambientali, durante il soggiorno sulla Terra. La disamina degli idiomi antichi è chiara e inoppugnabile; Adamo fu il primo uomo creato dagli dèi semitici, la cui traduzione lessicale del termine sarebbe servo o servitore, ed è il ruolo che egli svolse al servizio degli dèi. Secondo altri commentatori l’idioma Adamo starebbe a indicare “figlio della terra”, “terrestre”. Fu o sarebbe stato così chiamato per distinguerlo dalla progenie di divinità presenti sul pianeta in quel lontano passato. Tale ipotesi prende spunto, tra l’altro, dal passo biblico della genesi 6, dove si legge:

[…] C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.

Qualunque sia stato il suo significato originario fu creato per servire gli dèi. Servo, e come tale la progenie che seguì fu utilizzata per alleviare le fatiche degli dèi nelle miniere africane. Secondo le cronache sumero-babilonesi la sua creazione avvenne dal phatos genetico, nei laboratori divini del dio En.ki./E.A.,[5] nell’Abzu.[6]
Dopo la creazione del primo uomo seguì la clonazione in massa di questa nuova razza ibrida, dotata di linguaggio, forza e intelligenza. Tuttavia il metodo adottato dagli dèi per moltiplicare l’uomo e, quindi, controllarne il numero delle nascite, lo rendeva evolutivamente incompleto, difatti, la mancanza della capacità di riprodursi per via sessuale inibiva la nuova razza a svilupparsi ed evolversi autonomamente. E se oggi esistiamo, lo dobbiamo alla diatriba che sarebbe scaturita tra gli dèi sulla gestione e l’utilizzo dei primi ibridi umani.
Fu l’idea attuata dal dio/scienziato Enki, raccontano le cronache semitiche, per vendicarsi del fratello Enlil, il quale gli aveva sottratto un gruppo di servitori “Adama/Terrestri”. Enlil,[7] tanto meno i suoi scienziati, non aveva quelle conoscenze scientifiche e genetiche che gli avrebbero permesso di clonare a loro volta altri esseri umani, pertanto fu costretto a rivelare il suo comportamento e chiedere aiuto al fratello. Enki, colse l’occasione al volo per vendicarsi del fratello e a sua insaputa riprogrammò il genoma dell’uomo, permettendo a quest’ultimo di riprodursi per via sessuale. Da quest’atto, che secondo alcuni ricercatori sarebbe avvenuto tra i 50/40mila anni fa, nacque l’Homo Sapiens [Sapiens].
Datazione che oggi coincide sia con le teorie antropologiche e paleoantropologiche, espresse da eminenti studiosi internazionali, sia con la prima colonizzazione del pianeta.
Che cosa determinò tale migrazione ancora è di difficile lettura. Volendo si può sostenere l’ipotesi sulla necessità degli uomini preistorici di spostarsi sistematicamente nella ricerca di territori ricchi di selvaggina, ma non convince del tutto. Le ipotesi più plausibilmente accettabili attribuiscono le cause agli dèi, che nell’affannosa ricerca di metalli nobili, quale oro e argento, hanno spinto molti gruppi umani a spostarsi in diverse aree del pianeta.
Altri commentatori invece sostengono che la razza umana ebbe origine in un’altra parte dell’universo e giunse sulla Terra per colonizzarla. Secondo questa teoria i primi umani che giunsero sulla Terra erano esseri evoluti con una consapevolezza superiore, tuttavia i numerosi cataclismi cui il pianeta è andato incontro nel passato, decimò questa gruppo di colonizzatori e i pochi superstiti rimasti, per riuscire a sopravvivere, si sono dovuti adeguare alle mutevoli condizioni ambientali del pianeta, tanto da imbarbarirsi a tal punto da dimenticare le proprie origini extraterrestri. Se tale tesi fosse comprovata, si potrebbero spiegare tutti quegli oggetti, quegli OOPART,[8] le cui datazioni li collocano in periodi non conformi allo sviluppo societario del genere umano durante il Neolitico, ma di questo parleremo più avanti. Ed è altresì probabile che giunsero altre razze aliene sulla Terra e servendosi dei primitivi terrestri realizzarono le loro città e porti spaziali.
Questa è soltanto una parte della storia dell’uomo… il resto lo trovate riportato in questo libro


Questo testo proviene dal libro di Angelo Virgillito “IL SEME DELLA VITA GENESI DIVINA O ALIENA?”, edito dalla XPublishing, Roma ed è coperto da COPYRIGHT, i trasgressori saranno puniti a termini di legge.


[1] Il termine cosmogonia significa nascita del cosmo, in altre parole origine dell’universo. L'espressione in filosofia appare per la prima volta nel V secolo a.C. da parte di Leucippo, che firma una grande cosmogonia da cui Democrito ricaverà la sua piccola cosmogonia. La variante mitico-religiosa di cosmogonia si connota come "narrazione della creazione" (dal greco kósmos, mondo e génésthai, nascere), a volte definito mito delle origini è la leggenda, il racconto, lo studio di come si sia generato l'universo. Le varianti cosmogoniche in senso mitico sono numerosissime, che riguardano ogni cultura arcaica e antica, ben documentate in etnologia e antropologia culturale. Nei tempi antichi il termine cosmogonia era correlato prevalentemente con la mitologia. In quasi tutte le società e culture è esistita una narrazione mitologica dell'origine dell'universo e dell'essere umano, spiegabile con la necessità dell'uomo di trovare una risposta a domande del tipo "chi ha fatto il mondo?" o "da dove veniamo?". Questi miti possono essere fra loro molto differenti, che alludono a diverse visioni del mondo, ma anche con relativi trasferimenti da cultura a cultura. In ognuno di questi miti, le varie società e culture hanno inserito gli elementi e le metafore che ritenevano più rappresentativi della loro concezione del mondo. In tempi moderni con il termine cosmogonia s’indica lo studio scientifico dell'origine ed evoluzione dell'universo.
[2] La sintagmatica può essere definita in due modi diversi. Il primo riguarda la linea sintagmatica, meglio detta Asse sintagmatico, si definisce come il concatenamento di elementi atti alla comunicazione (parole o qualsiasi altro tipo di segno) legati da un rapporto di contiguità (l'uno dopo l'altro). Insieme all'asse paradigmatico, la linea sintagmatica costituisce una delle intuizioni più innovative del padre della linguistica Ferdinand de Saussure. La seconda invece si definisce come la grammatica sintagmatica, altrimenti nota come gerarchia di Chomsky, è una gerarchia di contenimento delle classi delle grammatiche formali che genera i linguaggi formali. Questa gerarchia di grammatiche, furono descritte da Noam Chomsky come “grammatiche sintagmatiche".
 [3] Śiva (adattato in Shiva), è il nome di un dio maschile post-vedica erede diretta della divinità pre-aria, in seguito ripresa anche nei Veda, indicata con i nomi di Pasùpati e Rudra. Fondamento, a partire dall'epoca Gupta, di sette mistiche a lui dedicate Śiva è divenuto, in età moderna, uno dei culti principali dell'Induismo. Ricostruire l'origine del culto di questa importante divinità dell'India antica e moderna è un compito arduo, che non ha trovato completamente concordi gli studiosi che se ne sono occupati. L'ipotesi formulata dall'archeologo John Hubert Marshall, secondo il quale i sigilli raffiguranti la divinità di un proto-Pasùpati (il "Signore degli animali" dei Veda) rinvenuti nella valle dell’Indo (oggi in Pakistan) possano essere direttamente collegati alla successiva divinità di Śiva, è tuttavia oggi generalmente accettata. Si chiama sia Śiva ("il Benevolo") sia Hara ("il Distruttore"), ma anche Shaṃkara ("il Salvatore"), Mahādeva ("il Grande Dio"), o anche "Signore delle bestie selvatiche" (Śatapatha Brāhmaṇa, XII, 7, 3, 20): Paśupati.
[4] Canaan (ebraico moderno: Knaan; greco della koinè: Χαναάν, da cui latino: Canaan; da cui italiano: Cananea) è un antico termine geografico che si riferiva a una regione che comprendeva, all’incirca, il territorio attuale di Libano, Israele e parti del territorio della Siria e della Giordania. Il termine ebraico è di origini oscure, un'ipotesi accreditata è la connessione col termine hurrita kinahhu, trovato a Nuzi (c. 1450 a.C.) o ancora all'accadico Kinaḫḫu, che si riferiscono al colore rosso porpora che tali popolazioni lavoravano. Come d'altra parte il significato di Fenici (dal greco Φοινίκη: Phoiníkē) ha la medesima ragione, i due termini sono sinonimi utilizzati per indicare le popolazioni della terra oggi compresa tra il nord Israele, Libano e parte di Siria e Giordania. Secondo la tradizione biblica deriva dal nome di un personaggio della Bibbia, Canaan figlio di Cam e nipote di Noè, dal quale sarebbe disceso il popolo cananeo (mentre gli ebrei erano chiamati semiti perché discendenti di Sem, per quanto oggigiorno la denominazione etnica e linguistica moderna di "semita" abbracci entrambe queste popolazioni).
[5] En.ki./E.a, che tradotto sarebbe “Colui la cui casa è l’acqua” è il nome-epiteto del capo del primo gruppo di cinquanta Anunnaki giunti sulla Terra, nei pressi del golfo Persico 450mila anni fa. Scelto per le sue conoscenze scientifiche, la sua missione era di estrarre oro dalle acque degli oceani. Primogenito di Anu, sovrano di Nibiru, ma non l’erede legittimo al trono, che spettava per diritto di successione al fratello Enlil. Riferimento tratto dal libro di Zecharia Sitchin, Le Cronache Terrestri rivelate, a pag. 84 delle edizioni Piemme.
[6] Apsû (anche Abzu) è la personificazione delle acque sotterranee nella mitologia mesopotamica, sposo di Tiamat e progenitore degli dei. In seguito questo mondo viene dominato dal dio Enki/Ea. Tutte le fonti di acqua dolce (sorgenti, fiumi, laghi e pozzi) erano ritenute provenire da un unico oceano abissale sotterraneo, di cui Apsû era la figura divina. Il poema cosmogonico Enuma Elis descrive il caos primordiale come una mescolanza delle acque dolci di Apsû con le acque salate di Tiamat.
[7] En.lil, che tradotto sarebbe “Signore del comando”, figlio di Anu ed erede legittimo al trono di Nibiru; il suo rango numerico era 50. Comandante carismatico venne inviato a organizzare la Missione Terra dopo il fallimento dei primi tentativi di E.a di estrarre l’oro necessario alla sopravvivenza del proprio pianeta. Enlil. Tratta dal libro di Zecharia Sitchin, Le Cronache Terrestri rivelate, pag. 92 dell’edizioni Piemme.
[8] OOPArt è un termine che deriva dall'acronimo inglese Out Of Place ARTifacts (reperti o manufatti fuori posto), coniato dal naturalista e criptozoologo americano Ivan Sanderson per assegnare un nome a una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile posizione storica, ossia rappresenterebbero un anacronismo. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti archeologici o paleontologici che, secondo comuni convinzioni non sarebbero potuti esistere nell'epoca a cui si riferiscono le datazioni iniziali.

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