Quelle che segue è uno stralcio del libro "Il Tempio
perduto degli Anunnaki - COME TUTTO EBBE INIZIO - GLI DEI
DEL CIELO E DELLA TERRA - Un’indagine storico-leggendaria nel mondo perduto degli antichi dèi
del cielo, alla ricerca di un importante tempio divino scomparso nel VIII
millennio a.C. - edizioni Cerchio della Luna - Verona - 2013, nel quale si pone in evidenza l'importanza del linguaggio e il metodo interpretativo che andrebbe utilizzato.
Il significato delle parole
[...] La complessità del linguaggio moderno, oggi tende a uniformarsi tra i
popoli della Terra, spesso ci induce a distorcerne il significato originario,
ma quando si ripercorre la storia antica o addirittura quella preistorica
occorre tenere bene in mente che molte accezioni si discostano dalla realtà
moderna; pertanto prima di tuffarci nel passato, dobbiamo porre l’accento su
alcuni aspetti primevi della storia dell’uomo.
Una riproduzione di un antico testo accadico dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_accadica |
Una delle cause è legata al trascorrere del tempo tanto caro all’uomo
che ha gradualmente fatto perdere gli atavici significati di quella religiosità
linguistica, in cui gli aspetti magici, mitici e ritualistici erano ben
distinti. Per riempire il vuoto lacunoso del linguaggio preistorico, gli
studiosi l’hanno riempito con termini paradigmatici moderni e circoscritti nei
preconcetti di coloro i quali hanno la presunzione di conoscere l’evoluzione
del sentimento religioso dell’Umanità. Tuttavia, bisogna essere cauti quando si
confrontano diverse tradizioni religiose, soprattutto antiche, e bisogna stare
attenti a non confondere o dare per scontata l’idèa della nozione di cosa sia
una religione o di come si pone il suo significato intrinseco.
Ma non tutti gli studiosi delle antiche religioni hanno applicato la
moderna linguistica per tradurre e comprendere gli antichi documenti storici e
religiosi del passato; infatti, utilizzando parametri intraspecifici e
contestualizzati sulle datazioni storiche, sono riusciti a risalire ai due ceppi
più importanti, laddove si ritiene che le religioni delle origini, in un
ambiente macro-etnico, inteso come unica visione che coinvolge tutte le
popolazioni del pianeta, sono state suddivise in Indoeuropee[1]
e Semitiche[2].
Ed è da quest’ultime, come vedremo in seguito, che si sono sviluppati i più
importanti rituali religiosi e culturali durante il Paleolitico prima e nel
Neolitico dopo sul suolo siciliano.
Infatti, tutto ciò che è riuscito a sopravvivere dalle culture
antiche, come i simbolismi, i miti e le leggende, può essere interpretato in
vari modi, ma, alla luce dei gruppi migratori che per primi si sono insediati
in Sicilia, dovrebbero essere definite in funzione del bagaglio religioso che
le contraddistingueva (come vedremo più avanti), formule rielaborate dai culti
semitici. In un panorama storico così vasto dunque, bisogna avere ben chiaro il
concetto di religiosità, soprattutto quando si mette in relazione un insieme di
teorie che spaziano nel vasto panorama storico. Risalire al primo pensiero religioso
è letteralmente impossibile, tuttavia esso, secondo le ultime e accreditate
teorie scientifiche, può essere creato soltanto da un essere che abbia un
cervello che corrisponda a determinate proporzioni e volumi, all’interno della
scatola cranica. La mente religiosa dunque, secondo questi studi, scaturirebbe
da un cervello che è o deve essere grande abbastanza da poter formulare idee
religiose e filosofiche. Nel corso dell’evoluzione umana, il cervello dei primi
ominidi, secondo le leggi darwiniane, ha triplicato (evolutivamente) le proprie
dimensioni.
Gran parte dell’espansione ha avuto luogo nella neocorteccia
cerebrale, dove sono coinvolte tutte le funzioni cognitive più elevate di
lavorazione dell’ordine. Quest’ordine è collegato con la religiosità umana e
associato con la coscienza di se, del linguaggio e alle emozioni. Secondo la
teoria di Dunbar[3],
la relativa dimensione della neocorteccia di qualsiasi specie è correlata con
il livello di complessità sociale della specie ed è connessa con una serie di
variabili sociali che includono la dimensione sociale del gruppo e la
complessità dei comportamenti di accoppiamento. La religione delle origini
quindi, per essere trasmessa da un individuo all’altro richiedeva oltre a un
sistema di comunicazione simbolica, come il linguaggio, anche un certo volume
cerebrale, il quale, a sua volta, sviluppa un proprio teorema religioso. Philip Lieberman[4]
afferma che: “il pensiero umano religioso e senso morale sono chiaramente
riposti su un linguaggio cognitivo di base”. Da quest’affermazione scientifica
lo scrittore Nicholas Wade[5]
ebbe a dichiarare:
“Come la maggior parte dei comportamenti che si trovano nelle società
sparse sul pianeta, la religione deve essere stata presente nella popolazione
ancestrale umana prima della dispersione dall’Africa 50mila anni fa. Sebbene i
rituali religiosi di solito sono imbastiti di danza e musica, sono anche molto
verbali, in quanto la sacra verità deve essere dichiarata. Se è così, la
religione, almeno nella sua forma moderna, non può essere pre-datata prima
dell’emergere del linguaggio. E’ stato detto in precedenza che il linguaggio ha
raggiunto il moderno stato poco prima dell’esodo africano. Se la religione ha
dovuto attendere l’evoluzione del moderno linguaggio articolato, allora troppo
poco sarebbe emerso prima di 50mila anni fa.
Pertanto quando parliamo di religione, ci corre l’obbligo di
commentare se tale termine è inteso come pratica o come visione della vita, o
espressione teologica, o come atteggiamento spirituale intimo, poiché la nostra
ricerca ci riporterà a spulciare tra le pagine delle religioni delle origini.
Questi quattro concetti, in effetti, sono le diverse facce di una stessa
moneta, i quali evidenziano la difficoltà dell’argomento, perché le influenze
semantiche e culturali della storia ci potrebbero sviare o farci determinare
errate conclusioni; quindi quando parliamo di religione, il suo significato
deve interagire con ciò che intendiamo esprimere, perché se dovessimo ascrivere
la …
[…] Religione come pratica,
allora intendiamo un insieme di tradizioni, di riti, di racconti, di abitudini
e di cerimonie che sono coltivati da un certo gruppo di persone e che sono
trasmessi di generazione in generazione.
Se invece parliamo di
[…] Religione come visione
complessiva della vita, stiamo parlando del raggruppamento di una serie di
credenze, cioè un sistema di regole comportamentali e della concezione di ciò
che è giusto e ciò che è sbagliato e, in generale, di una certa “visione del
mondo”.
Ma se stiamo esprimendo il concetto di
[…] Religione come teologia
bisogna riferirsi alla dottrina che spiega il rapporto umano con tutto ciò che
sta di là della realtà materiale, in altre parole con la sfera ultraterrena.
Infine se stiamo interagendo con la
[…] Religione intesa come
atteggiamento spirituale intimo, svolgiamo una relazione, un rapporto
individuale che ciascuno di noi sviluppa con ciò che è sacro. A volte le
persone s’identificano pienamente con una determinata religione, altre volte
interpretano la tradizione cui appartengono in maniera personale. Un quadro che
gli studiosi delle religioni e gli addetti ai lavori conosce a fondo, ma chi
non ha dimestichezza con l’interpretazione del significato religioso si trova a
navigare al buio e senza orientamento.
Copyright giugno 2013
Angelo Virgillito
E' vietato prelevare o copiare articoli o singoli paragrafi, pubblicati in questo blog senza l'autorizzazione scritta dell'Autore del medesimo blog. Ogni violazione sarà perseguita penalmente.
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[1] Con il termine Indoeuropei si indica un insieme di
popolazioni che, parlando un comune idioma denominato proto-indoeuropeo,
avrebbe popolato un'area geografica comune tra la metà del V millennio a.C. e
l'inizio del II millennio a.C. Tale etnia si sarebbe poi dispersa per l'Eurasia
a causa di dinamiche complesse di diffusione, legate a linee di transumanza e
commercio preistoriche, e a dinamiche di sovrapposizione militare a partire da
azioni "opportunistiche". La teoria dell'esistenza di una
proto-popolazione nasce dalla linguistica comparativa, la quale ha mostrato
come si possano identificare in popolazioni forti caratteristiche comuni, non
solo nel lessico, ma anche nella morfologia linguistica, nella grammatica.
[2] Semiti sono tutti i popoli che parlano, o
hanno parlato, lingue collegate al ceppo linguistico semitico (tra questi ci
sono gli Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi, Maltesi ecc.). Il primo a
proporre una definizione del termine fu nel 1787 Eichorn che volle rifarsi alla definizione biblica di Genesi
X-XI, che indicava una serie di nazioni, discese da Sem, il figlio del
patriarca Noè. Di là dalle imprecisioni bibliche (nei popoli parlanti idiomi
strutturalmente riconducibili a un unico ceppo linguistico sono, infatti,
elencati anche gli Elamiti della Susiana e i Lidi, mentre non è citato il
Cananeo), le analisi genetiche mostrano come i popoli genericamente indicati
come "semiti" condividano una notevole affinità che confermerebbe la
discendenza da antenati linguistici comuni. Il dibattito sull'esatto significato
del termine è ancora aperto ma vi è un largo consenso nell'accettare che, da un
punto di vista linguistico, il termine si riferisce oggi a Ebrei, Arabi e alle
genti che impiegano la lingua amarica e aramaica. La forma negativa del termine
antisemita è invece usata
nell'accezione pura e semplice di anti-ebraico.
I popoli proto-semiti, antenati dei semiti del Vicino Oriente, si ritengono
provenire dalla Penisola Araba.
[3] Robin Dunbar Ian
MacDonald è un antropologo britannico, psicologo evolutivo e uno
specialista nel comportamento dei primati. Attualmente è professore di antropologia
evolutiva e direttore dell'Istituto di Antropologia Cognitiva ed evolutiva
dell’Università di Oxford e con-direttore del British Accademy Research
Project.. Egli è meglio conosciuto per aver
formulato la teoria del “il numero di Dunbar”, la quale sostiene che 150 è la
misura massima del "limite cognitivo del numero di persone con le quali
una qualsiasi persona è in grado di mantenere relazioni stabili".
[4] Philip Lieberman è un linguista presso la Brown
University, Providence, Rhode Island, Stati Uniti. Originariamente i suoi studi si erano indirizzati sulla fonetica, di cui in
seguito ha scritto una tesi sull’intomazione..Il
resto della sua carriera si è concentrata sui temi dell’evoluzione del
linguaggio, e in particolare nel rapporto tra l'evoluzione del tratto vocale e
l'evoluzione della parola e del linguaggio stesso. Il suo lavoro in questo campo ha stimolato un notevole
interesse. Attualmente tiene una cattedra presso il
Dipartimento di Scienze cognitive e linguistiche alla Brown University ed è
anche un professore del Dipartimento di Antropologia.
[5] Nicholas Wade è un giornalista scientifico, nato ad Aylesbury, in Inghilterra e
ha studiato all’Eton e alla Kings College, di Cambridge., è stato un corrispondente per la rivista
Science e per la rivista Nature, con sede a Washington, e vicedirettore, con
sede a Londra. Ha anche collaborato da Washington con il New York Times, dove
ha lavorato come editorialista ricoprendo il ruolo di giornalista redattore
scientifico, e si è occupato di scienza, ambiente e difesa. È
autore di diversi libri tra cui "The Duel Nobel, " (Doubleday, 1980);
"Traditori della Verità", co-autore con William J. Broad (Simon &
Schuster, 1982) e "Before the Dawn" (Penguin Press, 2006) circa
l'evoluzione umana negli ultimi 10.000 anni. Il suo libro più recente,
circa l'evoluzione del comportamento religioso, è "The Instinct
Faith" (Penguin Press, 2009).
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