lunedì 25 maggio 2015

L'IMPORTANZA DEL LINGUAGGIO NELLA STORIA


Quelle che segue è uno stralcio del libro "Il Tempio perduto degli Anunnaki - COME TUTTO EBBE INIZIO - GLI DEI DEL CIELO E DELLA TERRA - Un’indagine storico-leggendaria nel mondo perduto degli antichi dèi del cielo, alla ricerca di un importante tempio divino scomparso nel VIII millennio a.C. - edizioni Cerchio della Luna - Verona - 2013, nel quale si pone in evidenza l'importanza del linguaggio e il metodo interpretativo che andrebbe utilizzato. 



Il significato delle parole

[...] La complessità del linguaggio moderno, oggi tende a uniformarsi tra i popoli della Terra, spesso ci induce a distorcerne il significato originario, ma quando si ripercorre la storia antica o addirittura quella preistorica occorre tenere bene in mente che molte accezioni si discostano dalla realtà moderna; pertanto prima di tuffarci nel passato, dobbiamo porre l’accento su alcuni aspetti primevi della storia dell’uomo.

Una riproduzione di un antico testo accadico dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_accadica

Una delle cause è legata al trascorrere del tempo tanto caro all’uomo che ha gradualmente fatto perdere gli atavici significati di quella religiosità linguistica, in cui gli aspetti magici, mitici e ritualistici erano ben distinti. Per riempire il vuoto lacunoso del linguaggio preistorico, gli studiosi l’hanno riempito con termini paradigmatici moderni e circoscritti nei preconcetti di coloro i quali hanno la presunzione di conoscere l’evoluzione del sentimento religioso dell’Umanità. Tuttavia, bisogna essere cauti quando si confrontano diverse tradizioni religiose, soprattutto antiche, e bisogna stare attenti a non confondere o dare per scontata l’idèa della nozione di cosa sia una religione o di come si pone il suo significato intrinseco.


Ma non tutti gli studiosi delle antiche religioni hanno applicato la moderna linguistica per tradurre e comprendere gli antichi documenti storici e religiosi del passato; infatti, utilizzando parametri intraspecifici e contestualizzati sulle datazioni storiche, sono riusciti a risalire ai due ceppi più importanti, laddove si ritiene che le religioni delle origini, in un ambiente macro-etnico, inteso come unica visione che coinvolge tutte le popolazioni del pianeta, sono state suddivise in Indoeuropee[1] e Semitiche[2]. Ed è da quest’ultime, come vedremo in seguito, che si sono sviluppati i più importanti rituali religiosi e culturali durante il Paleolitico prima e nel Neolitico dopo sul suolo siciliano.

Infatti, tutto ciò che è riuscito a sopravvivere dalle culture antiche, come i simbolismi, i miti e le leggende, può essere interpretato in vari modi, ma, alla luce dei gruppi migratori che per primi si sono insediati in Sicilia, dovrebbero essere definite in funzione del bagaglio religioso che le contraddistingueva (come vedremo più avanti), formule rielaborate dai culti semitici. In un panorama storico così vasto dunque, bisogna avere ben chiaro il concetto di religiosità, soprattutto quando si mette in relazione un insieme di teorie che spaziano nel vasto panorama storico. Risalire al primo pensiero religioso è letteralmente impossibile, tuttavia esso, secondo le ultime e accreditate teorie scientifiche, può essere creato soltanto da un essere che abbia un cervello che corrisponda a determinate proporzioni e volumi, all’interno della scatola cranica. La mente religiosa dunque, secondo questi studi, scaturirebbe da un cervello che è o deve essere grande abbastanza da poter formulare idee religiose e filosofiche. Nel corso dell’evoluzione umana, il cervello dei primi ominidi, secondo le leggi darwiniane, ha triplicato (evolutivamente) le proprie dimensioni. 

Gran parte dell’espansione ha avuto luogo nella neocorteccia cerebrale, dove sono coinvolte tutte le funzioni cognitive più elevate di lavorazione dell’ordine. Quest’ordine è collegato con la religiosità umana e associato con la coscienza di se, del linguaggio e alle emozioni. Secondo la teoria di Dunbar[3], la relativa dimensione della neocorteccia di qualsiasi specie è correlata con il livello di complessità sociale della specie ed è connessa con una serie di variabili sociali che includono la dimensione sociale del gruppo e la complessità dei comportamenti di accoppiamento. La religione delle origini quindi, per essere trasmessa da un individuo all’altro richiedeva oltre a un sistema di comunicazione simbolica, come il linguaggio, anche un certo volume cerebrale, il quale, a sua volta, sviluppa un proprio teorema religioso. Philip Lieberman[4] afferma che: “il pensiero umano religioso e senso morale sono chiaramente riposti su un linguaggio cognitivo di base”. Da quest’affermazione scientifica lo scrittore Nicholas Wade[5] ebbe a dichiarare:

“Come la maggior parte dei comportamenti che si trovano nelle società sparse sul pianeta, la religione deve essere stata presente nella popolazione ancestrale umana prima della dispersione dall’Africa 50mila anni fa. Sebbene i rituali religiosi di solito sono imbastiti di danza e musica, sono anche molto verbali, in quanto la sacra verità deve essere dichiarata. Se è così, la religione, almeno nella sua forma moderna, non può essere pre-datata prima dell’emergere del linguaggio. E’ stato detto in precedenza che il linguaggio ha raggiunto il moderno stato poco prima dell’esodo africano. Se la religione ha dovuto attendere l’evoluzione del moderno linguaggio articolato, allora troppo poco sarebbe emerso prima di 50mila anni fa.

Pertanto quando parliamo di religione, ci corre l’obbligo di commentare se tale termine è inteso come pratica o come visione della vita, o espressione teologica, o come atteggiamento spirituale intimo, poiché la nostra ricerca ci riporterà a spulciare tra le pagine delle religioni delle origini. Questi quattro concetti, in effetti, sono le diverse facce di una stessa moneta, i quali evidenziano la difficoltà dell’argomento, perché le influenze semantiche e culturali della storia ci potrebbero sviare o farci determinare errate conclusioni; quindi quando parliamo di religione, il suo significato deve interagire con ciò che intendiamo esprimere, perché se dovessimo ascrivere la …

[…] Religione come pratica, allora intendiamo un insieme di tradizioni, di riti, di racconti, di abitudini e di cerimonie che sono coltivati da un certo gruppo di persone e che sono trasmessi di generazione in generazione.
Se invece parliamo di
[…] Religione come visione complessiva della vita, stiamo parlando del raggruppamento di una serie di credenze, cioè un sistema di regole comportamentali e della concezione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e, in generale, di una certa “visione del mondo”.
Ma se stiamo esprimendo il concetto di
[…] Religione come teologia bisogna riferirsi alla dottrina che spiega il rapporto umano con tutto ciò che sta di là della realtà materiale, in altre parole con la sfera ultraterrena.
Infine se stiamo interagendo con la
[…] Religione intesa come atteggiamento spirituale intimo, svolgiamo una relazione, un rapporto individuale che ciascuno di noi sviluppa con ciò che è sacro. A volte le persone s’identificano pienamente con una determinata religione, altre volte interpretano la tradizione cui appartengono in maniera personale. Un quadro che gli studiosi delle religioni e gli addetti ai lavori conosce a fondo, ma chi non ha dimestichezza con l’interpretazione del significato religioso si trova a navigare al buio e senza orientamento.


Copyright giugno 2013
 Angelo Virgillito

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[1] Con il termine Indoeuropei si indica un insieme di popolazioni che, parlando un comune idioma denominato proto-indoeuropeo, avrebbe popolato un'area geografica comune tra la metà del V millennio a.C. e l'inizio del II millennio a.C. Tale etnia si sarebbe poi dispersa per l'Eurasia a causa di dinamiche complesse di diffusione, legate a linee di transumanza e commercio preistoriche, e a dinamiche di sovrapposizione militare a partire da azioni "opportunistiche". La teoria dell'esistenza di una proto-popolazione nasce dalla linguistica comparativa, la quale ha mostrato come si possano identificare in popolazioni forti caratteristiche comuni, non solo nel lessico, ma anche nella morfologia linguistica, nella grammatica.
[2] Semiti sono tutti i popoli che parlano, o hanno parlato, lingue collegate al ceppo linguistico semitico (tra questi ci sono gli Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi, Maltesi ecc.). Il primo a proporre una definizione del termine fu nel 1787 Eichorn che volle rifarsi alla definizione biblica di Genesi X-XI, che indicava una serie di nazioni, discese da Sem, il figlio del patriarca Noè. Di là dalle imprecisioni bibliche (nei popoli parlanti idiomi strutturalmente riconducibili a un unico ceppo linguistico sono, infatti, elencati anche gli Elamiti della Susiana e i Lidi, mentre non è citato il Cananeo), le analisi genetiche mostrano come i popoli genericamente indicati come "semiti" condividano una notevole affinità che confermerebbe la discendenza da antenati linguistici comuni. Il dibattito sull'esatto significato del termine è ancora aperto ma vi è un largo consenso nell'accettare che, da un punto di vista linguistico, il termine si riferisce oggi a Ebrei, Arabi e alle genti che impiegano la lingua amarica e aramaica. La forma negativa del termine antisemita è invece usata nell'accezione pura e semplice di anti-ebraico. I popoli proto-semiti, antenati dei semiti del Vicino Oriente, si ritengono provenire dalla Penisola Araba.
[3] Robin Dunbar Ian MacDonald è un antropologo britannico, psicologo evolutivo e uno specialista nel comportamento dei primati. Attualmente è professore di antropologia evolutiva e direttore dell'Istituto di Antropologia Cognitiva ed evolutiva dell’Università di Oxford e con-direttore del British Accademy Research Project..  Egli è meglio conosciuto per aver formulato la teoria del “il numero di Dunbar”, la quale sostiene che 150 è la misura massima del "limite cognitivo del numero di persone con le quali una qualsiasi persona è in grado di mantenere relazioni stabili".
[4] Philip Lieberman è un linguista presso la Brown University, Providence, Rhode Island, Stati Uniti.  Originariamente i suoi studi si erano indirizzati sulla fonetica, di cui in seguito ha scritto una tesi sull’intomazione..Il resto della sua carriera si è concentrata sui temi dell’evoluzione del linguaggio, e in particolare nel rapporto tra l'evoluzione del tratto vocale e l'evoluzione della parola e del linguaggio stesso. Il suo lavoro in questo campo ha stimolato un notevole interesse. Attualmente tiene una cattedra presso il Dipartimento di Scienze cognitive e linguistiche alla Brown University ed è anche un professore del Dipartimento di Antropologia.
[5] Nicholas Wade è un giornalista scientifico, nato ad Aylesbury, in Inghilterra e ha studiato all’Eton e alla Kings College, di Cambridge., è stato un corrispondente per la rivista Science e per la rivista Nature, con sede a Washington, e vicedirettore, con sede a Londra. Ha anche collaborato da Washington con il New York Times, dove ha lavorato come editorialista ricoprendo il ruolo di giornalista redattore scientifico, e si è occupato di scienza, ambiente e difesa. È autore di diversi libri tra cui "The Duel Nobel, " (Doubleday, 1980); "Traditori della Verità", co-autore con William J. Broad (Simon & Schuster, 1982) e "Before the Dawn" (Penguin Press, 2006) circa l'evoluzione umana negli ultimi 10.000 anni. Il suo libro più recente, circa l'evoluzione del comportamento religioso, è "The Instinct Faith" (Penguin Press, 2009). 

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