L’uomo: progenie degli dèi
Per millenni dunque, l’uomo,
dopo la sua nascita, si è evoluto secondo logiche progettuali non terrestri, E
gli sbalzi evolutivi, che i moderni studiosi hanno registrato, confermerebbero
l’ipotesi secondo la quale alcune variazioni possono essere attribuite a
fattori esterni. Difatti posti in
relazione con il tempo che occorrerebbe a una qualsiasi forma di vita a
evolversi a uno stadio più complesso, dovrebbero trascorrere diverse centinaia
di milioni di anni, come ha dimostrato Darwin, con la sua teoria della specie,
secondo una selezione naturale, ma così non è stato per l’uomo. I tempi di
Madre natura non erano quelli degli antichi dèi, che in più occasioni hanno
interferito, aiutando questa nuova razza a piccoli salti evolutivi. L’esperimento
però non dava i risultati previsti o almeno la razza umana non si stava
evolvendo secondo i dettami progettuali degli antichi creatori. Processo troppo
lento per le necessità degli dèi.
Ne accelerarono l’evoluzione circa 200mila anni fa e da quel momento
l’esperimento “uomo” ha subìto continue modifiche da parte dei loro creatori,
per migliorarlo e renderlo “a immagine divina”. Fu il Diluvio universale che in
fine, permise ai creatori dell’uomo, di eseguire una ristrettissima selezione
genetica per migliorare ulteriormente il loro progetto iniziale e, secondo
quanto emerge dai continui studi sull’evoluzione umana, tale processo, continua
a essere costantemente perfezionato. L’apocalisse che si abbatté sulla Terra, 13mila
anni fa, fu catastrofica e soltanto una ristrettissima cerchia di esseri
viventi fu salvata dall’estinzione di massa. I creatori furono soddisfatti
della selezione e tanto fu la loro contentezza che iniziarono a elargire parte
della loro conoscenza. In seguito l’uomo ripopolò il pianeta, mentre gli
antichi visitatori elargivano perle di sapere.
Come una droga, dunque, l’uomo si è assuefatto agli dèi, la cui dipendenza
gli ha fatto perdere di vista il suo relazionarsi con le forze vitali
dell’universo. Fortunatamente non tutto è stato perduto, ancora oggi, gli
aborigeni australiani raccontano il loro rapporto con tali energie e a quanto
pare non sono gli unici. Molte tradizioni andine, mesoamericane o quelle
narrate dagli antichi indiani d’America, solo per citarne alcune, custodiscono ancora
gelosamente tali ricordi, anche se per la maggior parte della popolazione
mondiale, cosiddetta civilizzata, sono ricordi andati e perduti con
l’urbanizzazione e la dipendenza dai poteri deviati di quei governi che vogliono
sottomettere l’intera razza umana.
Non possiamo certo paragonarci ai nostri creatori, peccherei di arroganza,
ma sono convinto che la mente umana abbia delle potenzialità, le quali, verosimilmente,
possono equiparare quella degli antichi dèi; d’altronde ci hanno creato “a loro
immagine e somiglianza” e nel crearci molti dei loro geni interagirono con
“l’argilla” della terra, con il primitivo genoma dell’Homo Erectus. Se soltanto
fossimo un po’ più consapevoli e meno iniqui, la ricerca sulle origini sarebbe
la strada più ovvia che l’umanità dovrebbe intraprendere che le permetterebbe
di accrescere la propria conoscenza sul ruolo assegnatole nella sfera
universale. In tal modo ci renderemmo conto di quanto minuscoli siamo dinanzi
alla Creazione e forse, saremmo più inclini a tutelare la nostra stessa
esistenza, presente e futura e il mondo che ci ospita.
Sono princìpi e congetture filosofiche diverse,
anche se corrono paralleli alla crescita umana, tuttavia le nuove teorie
scientifiche sulla genesi dell’uomo trovano il loro maggiore sostegno proprio
nella storia delle religioni di tutto il mondo e anche se ognuna di esse
racconta a suo modo la venuta del loro dio sulla Terra, tutte convergono
formulando lo stesso concetto primevo. Criteri di giudizio che, il più delle
volte, sono stati offuscati dai rigidi protocolli messianici o scientifici
imposti dalle dottrine ufficiali, i cui sostenitori siano essi religiosi o
scienziati, hanno sempre rifiutato un confronto diretto. Eppure l’una non
esclude l’altra, come hanno dimostrato molti studi affini a tali discipline e
come abbiamo più volte affermato nei capitoli precedenti. La genesi umana di
conseguenza va investigata, come sostengono i moderni ricercatori, tra le
rovine storiche delle culture primitive, i cui rituali fondati su concetti
cosmogonici[1] hanno sviluppato
una sintagmatica[2] del tutto coerente
con il panorama naturale della preistoria. Una volta compreso tale meccanismo
non dissociante ma congiungente, molti ricercatori, più lungimiranti di altri,
hanno approntato nuovi metodi di ricerca. Ciò gli ha permesso di riempire tutti
i vuoti lasciati dalla scienza e, come se non bastasse, hanno spiegato la
veemenza ispirata a devozione degli uomini primitivi nei confronti di creature
provenienti dal cielo. Altrimenti non si spiegherebbero, da un certo punto di
vista, le necessità dell’uomo nell’edificare tutte quelle strutture megalitiche
sparse sul pianeta e la sua stessa presenza evolutiva. Non fu certo un
capriccio degli dèi la creazione dell’uomo, ma la necessità di questi ultimi di
essere serviti e coadiuvati, alleggerendogli il giogo delle fatiche sostenuto
nelle esplorazioni e scavi minerari.
Fu la fatica dunque, secondo la teoria Sicciniana,
che spinse gli dèi/alieni a creare una creatura senziente, capace cioè di
comprendere i loro comandi, in parte autonoma ma servile. D’altro canto,
l’uomo, pur avendo una certa autonomia e gravato dal faticoso lavoro nelle
miniere, è sempre rimasto fedele agli insegnamenti dei loro creatori e per far sì
che essi fossero sempre presenti nel loro immaginario collettivo, iniziarono a
sviluppare un panorama teogonico, dove la natura divina degli dèi fu
intercalata negli aspetti fenomenici della natura.
Se volessimo porci la domanda: Perché Dio creò
l’uomo? Una risposta retorica e pacchiana, è quella secondo la quale a Dio
occorreva un “giardiniere” che accudisse il “giardino dell’Eden”. Infatti, in
ogni testo biblico sia esso Cristiano, ebreo o coranico, è scritto a chiare
lettere. In Genesi [2,15], ad esempio, troviamo scritto:
Poi
il Signore, Dio rapì l’uomo e lo depose nel giardino di Eden perché lo
lavorasse e lo custodisse.
Nell’analizzare questo passaggio c’è da chiedersi:
perché Dio dovette rapire l’uomo, per portarlo nel suo giardino di Eden?
Potrebbe questo passo biblico, la cui disamina la troveremo più avanti,
riferirsi al racconto del rapimento, voluto da Enlil, il dio alieno della razza
degli Anunna(ki), di alcune delle nuove creature ibride, cioè gli Adama, i
progenitori dell’Homo Sapiens, clonate dal fratello Enki nell’Abzu? Prove che
possono convalidare tale pensiero, al momento non soddisfano la nostra ricerca,
ma suscitano moltissimi dubbi e opportunità di riflessione.
Le ricerche compiute e gli studi fatti fino ad
oggi hanno la tendenza a emarginare tale panorama antico; per i filosofi, ad
esempio, sono aspetti mitopoietici lontani dalla realtà di quel tempo. Ciò
nonostante alcuni aspetti come il linguaggio, i rituali messianici e alchemici,
il rapportarsi con le fogge fenomeniche della natura e lo studio della volta
celeste, hanno consentito all’uomo di evolversi secondo precisi paradigmi
divini. Tuttavia, e per quanto fosse dotato d’intelligenza, egli, con le sue
sole forze, non sarebbe stato in grado di sviluppare tutte quelle discipline scientifiche
e tecnologiche, che la storia racconta, senza l’aiuto di una razza superiore. I
meriti però non sono da attribuire soltanto agli antichi dèi, anche l’uomo,
grazie alla sua capacità di pensare, ha sviluppato i primi rudimenti filosofici
e le prime fogge ritualistiche e cerimoniali, servendosi di preparati alchemici
e formule magiche, per aggraziarsi i loro creatori.
Platone, Beroso, Manetone, Tucidide, Filone da
Biblo e tutti gli altri, oggi, sono considerati i padri della Storia, è grazie
ai loro studi filosofici e alle cronache lasciateci in eredità, se in epoca
moderna, studiosi e accademici hanno potuto trascrivere parte della Storia
umana. Un’anomalia, tuttavia, emerge da tali cronache, perché esse sono state infuse
con tutti quei preconcetti lasciatici in eredità dai grandi narratori del
passato.
Gli studiosi moderni si sono mai chiesti quali
influenze politiche, sociali e religiose hanno determinato la stesura di tali
cronache antiche?
E’ una domanda retorica, certo, chiunque si occupi
della storia dell’uomo,conosce il contesto storico di quanto tali cronache
furono redatte, ciò nonostante nessuno ha mai pensato di epurare tali scritti
dalle influenze sociali e comportamentali che le società di quel tempo hanno
mitigato. Oggi tali scritti al pari di tanti altri compendi sono la chiave di
lettura, le basi grazie alle quali gli accademici e storici moderni hanno
potuto ricostruire la storia antica secondo paradigmi convenzionali ed
elaborati con metro scientifico, tralasciando tutte quelle parti la cui sfera
gravitava nei concetti mitopoietici e filosofici dell’uomo preistorico.
Gli studiosi si sono mai chiesti perché sorsero
tre civiltà indipendenti l’una dall’altra con specifiche e caratteristiche
uniche:
ü La
prima a emergere fu quella conosciuta con il nome di civiltà Sumera, la quale si
avvantaggiò negli studi legislativi, a essi, infatti, si fa risalire il primo
codice legislativo della storia conosciuta;
ü Poi
apparve quell’Egizia, la quale fu avvantaggiata nella costruzione d’imponenti
strutture megalitiche;
ü E non
certo per ultima in ordine d’importanza apparve quell’Indiana nella valle
dell’Indo, la quale ha sviluppato una religione che secondo studi recenti, è la
madre di tutte le religioni, lo stesso Gesù, in epoca adolescenziale si recò in
India e vi rimase per circa 18 anni, prima di ritornare in Medioriente e
divenire il Messia dell’umanità.
Un altro esempio eloquente lo troviamo nei primi
cinque libri dell’Antico Testamento; infatti, quando gli antichi redattori
biblici redissero le cronache della genesi umana non poterono esimersi
dall’utilizzo di antiche tradizioni sociali e religiose, estrapolate dalla
cultura sumerica e da quelle provenienti dal Sivaismo[3]
indiano, che influenzarono profondamente il popolo di Dio, cioè gli Israeliti,
gli antichi Cananiti. Non dobbiamo dimenticare che gli israeliti erano un
popolo di origine Cananita,[4] che nonostante la
loro provenienza sumerica, subì il giogo di diverse culture. Infatti, le loro
perigrazioni abbracciano un arco temporale molto vasto e persino oggi, il loro
territorio è fortemente scosso da implicazioni sociali, politiche e religiose.
Dai loro originari territori si spostarono in Egitto, dove vissero per circa
400 anni prima che l’esodo li portasse inizialmente nella penisola del Sinai,
dove vissero per circa 40 anni, per poi spostarsi in Mesopotamia, dove nei
secoli successivi subirono il giogo di altri popoli e culture diverse, prima di
insediarsi definitivamente negli attuali territori della Palestina. Oggi gli
studiosi delle religioni sono concordi nell’affermare che il libro sacro degli
israeliti, cioè la Bibbia, presenta una serie di affinità con dottrine e
tradizioni sviluppate da altri popoli.
Allora perché non può essere accettata l’idea che
siano esistiti altri storici, i cui nomi sono andati perduti nei meandri del
tempo, che, con i loro scritti,hanno raccontato una storia dell’umanità del
tutto coerente con l’evoluzione umana?
Qualcuno potrebbe obbiettare che non esistono
prove a suffragio di tali cronache. Niente di più sbagliato!
Le prove della presenza di una razza superiore che
giunse sul nostro pianeta migliaia di anni fa, esistono e sono alla luce del
sole. Strutture megalitiche sparse sul pianeta, riscontri scientifici delle
asserzioni astronomiche redatte da un popolo di 6mila anni fa, manufatti che
per la loro struttura non possono essere stati realizzati dalle mani e dagli
arnesi in uso nel tardo neolitico; tecniche e tecnologie che la scienza
ufficiale non riesce a spiegare, eppure sono lì, alcuni in bella vista altri
conservati nei maggiori musei internazionali, e tutti raccontano tutt’altra
verità. Una verità relativa, certo ma indiscutibile.
La scienza ufficiale fa fatica ad accettare tali
realtà, pur ammettendo che esistono delle difficoltà oggettive nello spiegare
determinati e cruciali passaggi evolutivi e tecnologici. La civiltà umana si è
sviluppata grazie all’intervento degli dèi e non perché è stato l’uomo a
crearla. Troppo repentini sono stati i balzi evolutivi per essere attribuiti
all’evoluzione naturale. L’uomo dunque fu creato e utilizzato dagli dèi come
uno strumento per migliorare le proprie condizioni ambientali, durante il
soggiorno sulla Terra. La disamina degli idiomi antichi è chiara e
inoppugnabile; Adamo fu il primo uomo creato dagli dèi semitici, la cui
traduzione lessicale del termine sarebbe servo o servitore, ed è il ruolo che
egli svolse al servizio degli dèi. Secondo altri commentatori l’idioma Adamo starebbe a indicare “figlio della
terra”, “terrestre”. Fu o sarebbe stato così chiamato per distinguerlo dalla
progenie di divinità presenti sul pianeta in quel lontano passato. Tale ipotesi
prende spunto, tra l’altro, dal passo biblico della genesi 6, dove si legge:
[…]
C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di
Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli:
sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.
Qualunque sia stato il suo significato originario
fu creato per servire gli dèi. Servo, e come tale la progenie che seguì fu
utilizzata per alleviare le fatiche degli dèi nelle miniere africane. Secondo
le cronache sumero-babilonesi la sua creazione avvenne dal phatos genetico, nei laboratori divini del dio En.ki./E.A.,[5]
nell’Abzu.[6]
Dopo la creazione del primo uomo seguì la
clonazione in massa di questa nuova razza ibrida, dotata di linguaggio, forza e
intelligenza. Tuttavia il metodo adottato dagli dèi per moltiplicare l’uomo e,
quindi, controllarne il numero delle nascite, lo rendeva evolutivamente
incompleto, difatti, la mancanza della capacità di riprodursi per via sessuale
inibiva la nuova razza a svilupparsi ed evolversi autonomamente. E se oggi esistiamo,
lo dobbiamo alla diatriba che sarebbe scaturita tra gli dèi sulla gestione e l’utilizzo
dei primi ibridi umani.
Fu l’idea attuata dal dio/scienziato Enki,
raccontano le cronache semitiche, per vendicarsi del fratello Enlil, il quale
gli aveva sottratto un gruppo di servitori “Adama/Terrestri”. Enlil,[7] tanto meno i suoi
scienziati, non aveva quelle conoscenze scientifiche e genetiche che gli
avrebbero permesso di clonare a loro volta altri esseri umani, pertanto fu
costretto a rivelare il suo comportamento e chiedere aiuto al fratello. Enki, colse
l’occasione al volo per vendicarsi del fratello e a sua insaputa riprogrammò il
genoma dell’uomo, permettendo a quest’ultimo di riprodursi per via sessuale. Da
quest’atto, che secondo alcuni ricercatori sarebbe avvenuto tra i 50/40mila
anni fa, nacque l’Homo Sapiens [Sapiens].
Datazione che oggi coincide sia con le teorie
antropologiche e paleoantropologiche, espresse da eminenti studiosi
internazionali, sia con la prima colonizzazione del pianeta.
Che cosa determinò tale migrazione ancora è di
difficile lettura. Volendo si può sostenere l’ipotesi sulla necessità degli
uomini preistorici di spostarsi sistematicamente nella ricerca di territori
ricchi di selvaggina, ma non convince del tutto. Le ipotesi più plausibilmente
accettabili attribuiscono le cause agli dèi, che nell’affannosa ricerca di metalli
nobili, quale oro e argento, hanno spinto molti gruppi umani a spostarsi in
diverse aree del pianeta.
Altri commentatori invece sostengono che la razza
umana ebbe origine in un’altra parte dell’universo e giunse sulla Terra per
colonizzarla. Secondo questa teoria i primi umani che giunsero sulla Terra
erano esseri evoluti con una consapevolezza superiore, tuttavia i numerosi
cataclismi cui il pianeta è andato incontro nel passato, decimò questa gruppo
di colonizzatori e i pochi superstiti rimasti, per riuscire a sopravvivere, si
sono dovuti adeguare alle mutevoli condizioni ambientali del pianeta, tanto da imbarbarirsi
a tal punto da dimenticare le proprie origini extraterrestri. Se tale tesi
fosse comprovata, si potrebbero spiegare tutti quegli oggetti, quegli OOPART,[8]
le cui datazioni li collocano in periodi non conformi allo sviluppo societario
del genere umano durante il Neolitico, ma di questo parleremo più avanti. Ed è
altresì probabile che giunsero altre razze aliene sulla Terra e servendosi dei primitivi
terrestri realizzarono le loro città e porti spaziali.
Questa è soltanto una parte della storia dell’uomo… il resto lo trovate riportato in questo libro
Questo testo proviene dal libro di Angelo Virgillito “IL SEME DELLA
VITA GENESI DIVINA O ALIENA?”, edito dalla XPublishing, Roma ed è coperto da
COPYRIGHT, i trasgressori saranno puniti a termini di legge.
[1] Il termine cosmogonia significa nascita del cosmo,
in altre parole origine dell’universo. L'espressione in filosofia appare per la
prima volta nel V secolo a.C. da parte di Leucippo, che firma una grande
cosmogonia da cui Democrito ricaverà la sua piccola cosmogonia. La variante
mitico-religiosa di cosmogonia si connota come "narrazione della
creazione" (dal greco kósmos, mondo e génésthai, nascere), a volte
definito mito delle origini è la leggenda, il racconto, lo studio di come si
sia generato l'universo. Le varianti cosmogoniche in senso mitico sono
numerosissime, che riguardano ogni cultura arcaica e antica, ben documentate in
etnologia e antropologia culturale. Nei tempi antichi il termine cosmogonia era
correlato prevalentemente con la mitologia. In quasi tutte le società e culture
è esistita una narrazione mitologica dell'origine dell'universo e dell'essere
umano, spiegabile con la necessità dell'uomo di trovare una risposta a domande
del tipo "chi ha fatto il mondo?" o "da dove veniamo?".
Questi miti possono essere fra loro molto differenti, che alludono a diverse
visioni del mondo, ma anche con relativi trasferimenti da cultura a cultura. In
ognuno di questi miti, le varie società e culture hanno inserito gli elementi e
le metafore che ritenevano più rappresentativi della loro concezione del mondo.
In tempi moderni con il termine cosmogonia s’indica lo studio scientifico
dell'origine ed evoluzione dell'universo.
[2] La sintagmatica può essere definita in due modi diversi. Il primo
riguarda la linea sintagmatica, meglio detta Asse sintagmatico, si definisce
come il concatenamento di elementi atti alla comunicazione (parole o qualsiasi
altro tipo di segno) legati da un rapporto di contiguità (l'uno dopo l'altro).
Insieme all'asse paradigmatico, la linea sintagmatica costituisce una delle
intuizioni più innovative del padre della linguistica Ferdinand de Saussure. La
seconda invece si definisce come la grammatica sintagmatica, altrimenti nota
come gerarchia di Chomsky, è una gerarchia di contenimento delle classi delle
grammatiche formali che genera i linguaggi formali. Questa gerarchia di
grammatiche, furono descritte da Noam Chomsky come “grammatiche
sintagmatiche".
[3] Śiva (adattato in Shiva), è il nome di un dio maschile post-vedica erede
diretta della divinità pre-aria, in seguito ripresa anche nei Veda, indicata
con i nomi di Pasùpati e Rudra. Fondamento, a partire dall'epoca Gupta, di
sette mistiche a lui dedicate Śiva è divenuto, in età moderna, uno dei culti
principali dell'Induismo. Ricostruire l'origine del culto di questa importante
divinità dell'India antica e moderna è un compito arduo, che non ha trovato
completamente concordi gli studiosi che se ne sono occupati. L'ipotesi
formulata dall'archeologo John Hubert Marshall, secondo il quale i sigilli
raffiguranti la divinità di un proto-Pasùpati (il "Signore degli
animali" dei Veda) rinvenuti nella valle dell’Indo (oggi in Pakistan)
possano essere direttamente collegati alla successiva divinità di Śiva, è
tuttavia oggi generalmente accettata. Si chiama sia Śiva ("il
Benevolo") sia Hara ("il Distruttore"), ma anche Shaṃkara
("il Salvatore"), Mahādeva ("il Grande Dio"), o anche
"Signore delle bestie selvatiche" (Śatapatha Brāhmaṇa, XII, 7, 3,
20): Paśupati.
[4] Canaan (ebraico moderno: Knaan; greco della koinè: Χαναάν, da cui latino:
Canaan; da cui italiano: Cananea) è un antico termine geografico che si
riferiva a una regione che comprendeva, all’incirca, il territorio attuale di
Libano, Israele e parti del territorio della Siria e della Giordania. Il
termine ebraico è di origini oscure, un'ipotesi accreditata è la connessione
col termine hurrita kinahhu, trovato a Nuzi (c. 1450 a.C.) o ancora
all'accadico Kinaḫḫu, che si riferiscono al colore rosso porpora che tali
popolazioni lavoravano. Come d'altra parte il significato di Fenici (dal greco
Φοινίκη: Phoiníkē) ha la medesima ragione, i due termini sono sinonimi
utilizzati per indicare le popolazioni della terra oggi compresa tra il nord
Israele, Libano e parte di Siria e Giordania. Secondo la tradizione biblica
deriva dal nome di un personaggio della Bibbia, Canaan figlio di Cam e nipote
di Noè, dal quale sarebbe disceso il popolo cananeo (mentre gli ebrei erano
chiamati semiti perché discendenti di Sem, per quanto oggigiorno la
denominazione etnica e linguistica moderna di "semita" abbracci
entrambe queste popolazioni).
[5] En.ki./E.a, che tradotto sarebbe “Colui la cui casa è l’acqua” è il nome-epiteto
del capo del primo gruppo di cinquanta Anunnaki giunti sulla Terra, nei pressi
del golfo Persico 450mila anni fa. Scelto per le sue conoscenze scientifiche,
la sua missione era di estrarre oro dalle acque degli oceani. Primogenito di
Anu, sovrano di Nibiru, ma non l’erede legittimo al trono, che spettava per
diritto di successione al fratello Enlil. Riferimento tratto dal libro di
Zecharia Sitchin, Le Cronache Terrestri rivelate, a pag. 84 delle edizioni
Piemme.
[6] Apsû (anche Abzu) è la personificazione delle acque sotterranee nella
mitologia mesopotamica, sposo di Tiamat e progenitore degli dei. In seguito
questo mondo viene dominato dal dio Enki/Ea. Tutte le fonti di acqua dolce
(sorgenti, fiumi, laghi e pozzi) erano ritenute provenire da un unico oceano
abissale sotterraneo, di cui Apsû era la figura divina. Il poema cosmogonico
Enuma Elis descrive il caos primordiale come una mescolanza delle acque dolci
di Apsû con le acque salate di Tiamat.
[7] En.lil, che tradotto sarebbe “Signore del comando”, figlio di Anu ed erede
legittimo al trono di Nibiru; il suo rango numerico era 50. Comandante
carismatico venne inviato a organizzare la Missione Terra dopo il fallimento
dei primi tentativi di E.a di estrarre l’oro necessario alla sopravvivenza del
proprio pianeta. Enlil. Tratta dal libro di Zecharia Sitchin, Le Cronache
Terrestri rivelate, pag. 92 dell’edizioni Piemme.
[8] OOPArt è un termine che deriva dall'acronimo inglese Out Of Place ARTifacts
(reperti o manufatti fuori posto), coniato dal naturalista e criptozoologo
americano Ivan Sanderson per assegnare un nome a una categoria di oggetti che
sembrerebbero avere una difficile posizione storica, ossia rappresenterebbero
un anacronismo. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti
archeologici o paleontologici che, secondo comuni convinzioni non sarebbero
potuti esistere nell'epoca a cui si riferiscono le datazioni iniziali.