La complessa
storiografia siciliana ci pone limiti e difficoltosi anti rivieni, i cui balzi
storici, a volte, ci disorientano, come le colonizzazioni che, pur seguendo una
cronologia storica e temporale del tutto coerente con il panorama storico
siciliano, essa può essere compresa soltanto scavando nelle tradizioni culturali e religiose di questi popoli
che da oltre 4mila anni tenuto sotto il loro giogo la popolazione siciliana.
Ecco perché balziamo come grilli, da un periodo storico a un altro, per
riuscire a rimettere insieme il complicato panorama storico siciliano, prima
dell’avvento dell’ellenizzazione dell’isola siciliana.
Raccontare le
probanti teorie e le connessioni che quest’antico dio semitico aveva con la
religione delle origini isolane, dobbiamo portarci avanti nel tempo per
giungere al I millennio DC, periodo durante il quale è emerso un corollario di
dati che possono spiegare alcuni passaggi religiosi del periodo preistorico,
che legano la figura del dio Adranòs/Adad, con un’altra divinità sumera che,
probabilmente fu la prima divinità maschile che fu adorata insieme alla grande
Madre dalle antiche comunità orientali dell’isola.
Ed è tra il caos
storico vissuto a cavallo tra il I e il II millennio DC, periodo durante il
quale, in Europa, è stato registrato un susseguirsi di movimenti, che a più
riprese, indipendentemente gli uni dagli altri, diedero degli altalenanti
scossoni politici, religiosi ed espansionistici, al potere costituito, dal cui
panorama affiorano delle labili tracce, che rientrano nello scenario semantico
del primitivo epiteto divino, ascritto a questa primeva divinità siciliana. Infatti,
per quel segmento storico che ci riguarda, in Sicilia, tra l’XI e il XIII
secolo DC, si accompagnarono altre colonizzazioni come quelle normanne e sveve
che, con le loro influenze di tipo indoeuropeo, storpiarono il termine arabo di
Gibel Utlamat in Mons Gibel (il cui significato è: due volte monte). E’ difficile
intuire le motivazioni che spinsero gli arabi ad attribuire il nome Gibel Utlamat, tuttavia un’ipotesi può
essere formulata, secondo la quale l’idioma Gibel
può riferirsi a una corruzione dialettale dell’epiteto divino del dio Gibil, una divinità semitica legata al
fuoco.
Chi era questa
divinità? Dove si sviluppò il suo culto?
Nella mitologia
sumera, Gibil ("il
bruciante") è indicato come il dio del fuoco. Secondo alcune versioni, è ritenuto
il figlio di An e Ki,
An e Shara ovvero di Ishkur e Shala.
Più tardi, presso gli Accadi fu
chiamato Gerra. In alcune versioni dell'Enûma Eliš,[1]
ad esempio, Gibil è presentato come un abile cavaliere che mantiene
affilata la lama delle armi, la sua mente è così vasta e sagace che tutte le
menti divine messi insieme non possono ragguagliarla e immaginarla.
C’è un unico
filo conduttore che lega tutte le divinità che nel corso della storia siciliana
si sono succedute o imposti nei culti religiosi dei nativi siciliani, quali
signori indiscussi della Montagna
etnea, facendo confluire quel particolare misticismo che combinato con una
ritualistica esoterica, impressero nel fuoco un’alchimia divina.
Così seguendo un
ordine cronologico, secondo quanto fino adesso abbiamo congetturato, la primeva
divinità siciliana può benissimo essere identificata con il dio Gibil, discendente della stirpe Enkita.
Il passaggio o sarebbe meglio ipotizzare l’usurpazione da parte di Adranòs alias Adad/Adad/Azaz, dio della guerra (termine emerso dalla
traslitterazione dal greco all’originario lessico accadico antico. Difatti, la
radice semantica della parola Adranòs, è riconducibile al dio della Guerra,
Adar/Adad/Azar, altro dio semitico, quest’ultimo legato alla stirpe Ellelita), che
nel corso della famigerata guerra degli dèi, scatenatesi durante il II
millennio AC, tra le fazioni Enkite e
quelle Enllelite, nell’area del
bacino orientale del Mediterraneo, che si concluse con la vittoria di questi
ultimi, i domini siciliani che un tempo erano sotto l’egida Enkita, passarono agli Enlleliti. Di conseguenza, ogni
riferimento a Gibil fu cancellato,
tanto che gli storici ortodossi sostengono che Adranòs/Adrano sia stata l’unica divinità nativa della Sicilia. Le
uniche prove documentarie, che possono fare da supporto a tale congettura, sono
alcuni idiomi e toponimi di antica memoria che, ancora oggi, fanno parte del
retaggio culturale delle comunità che in questi territori vivono.
Il susseguirsi
poi, di altre civiltà che nel corso della storia, colonizzarono l’isola, astutamente
si servirono delle caratteristiche di Adranòs,
per agevolare il loro inserimento nelle culture native siciliane. Infatti, le
cronache antiche riportano che i Greci identificavano Adrános con il loro dio greco Efesto,
che a sua volta era la trasposizione del dio Gibil; con l’arrivo dei romani, quindi dei Latini, Efesto divenne Vulcano, insomma, tutte divinità legate al mondo sotterraneo, quindi
al fuoco e al mondo di sotto, cioè l’Abzu, dominio principale di Enki/EA, le
cui peculiarità erano ben definite. Essi erano abili forgiatori, costruttori,
artigiani divini, tutte doti documentate dagli storici nella cospicua letteratura
mitologica.
É opinione di
chi scrive, che per ricercare la vera identità di Adrános, si debba prendere in considerazione le caratteristiche di
questo presunto dio siculo e confrontarle con quelle delle varie divinità
sumere. Gibil, dunque, per i particolari
attributi divini, rientra nel panorama delle divinità arcaiche del pantheon
mediorientale, che nel corso della storia delle prime civiltà, insediatesi sul
suolo siciliano, ha assunto nomi ed epiteti in funzione del corredo culturale e
sociologico, sviluppatosi nell’area orientale del Mediterraneo. Di conseguenza Gibil, viene descritto come uno dei
figli del dio Enki, per le comunità
etnee divenne il dio Adrános. In
seguito, con la colonizzazione da parte degli Ateniesi, Adranòs divenne Efesto. Con l’arrivo dei Romani, Adranòs
fu identificato con il dio Vulcano. Sono
tutte figure soprannaturali legate al fuoco, perché a loro furono ascritte
delle abilità artigianali di natura divina, come abbiamo già detto, nel costruire
e forgiare oggetti divini.
Le cronache
semitiche non chiariscono del tutto la figura divina del dio Gibil, infatti
viene menzionato soltanto in alcuni racconti che lo vedono protagonista in
alcune vicende. In un racconto semitico, ad esempio, si narra che al dio Gibil fu affidato il compito di
addestrare Horon, per prepararlo a
vendicare il padre Asar, ucciso dal
fratello Satu. Nel testo emerge oltre
alle citate peculiarità divine anche, un’abilità intellettiva nel destreggiarsi
con una certa maestria bellica nei campi di battaglia, tutte caratteristiche
che ritroviamo nei suoi alter-ego del periodo siculo e greco.
Questo dimostra,
come abbiamo visto, che le antiche popolazioni ordinavano le loro vite seguendo
delle precise regole religiose e, per rendere più semplice e diretto il loro rapporto
con gli dèi, attribuendo epiteti e nomi diversi, pur trattandosi della
medesima divinità.
Copyright agosto 2017 Angelo Virgillito
[1] Enûma Eliš (in italiano Quando in alto)
è un poema mesopotamico che tratta il mito della creazione e le imprese del dio
Marduk. Era recitato durante l'akītu, la festa del capodanno di Babilonia.
L'opera risale al XIII o al XII secolo AC, al tempo della prima dinastia di
Babilonia; se ne conoscono alcune versioni assire del VII secolo AC trovate ad
Assur e a Ninive. Le origini dell'opera sono probabilmente sumere: nella
versione originale il dio creatore era probabilmente An o Enlil. Apsú e Tiāmat,
personificazioni divine delle acque dolci e delle acque salate, si mescolarono
dando origine a nuovi dei che, a loro volta, ne generarono altri. Questi
giovani disturbavano il sonno di Apsû che decise di ucciderli, contro il parere
di Tiāmat, ma fu invece ucciso da uno di loro, Ea/Enki. Tiāmat, irata per il
destino del suo sposo, mosse guerra agli altri dei alleandosi con il mostro
Kingu e con altre divinità; soltanto Marduk, figlio di Ea/Enki, osò
affrontarla, chiedendo in cambio di diventare re di tutti gli dei, e la uccise
con una freccia. Poi ne tagliò in due il corpo: una parte diede origine al
cielo e l'altra alla terra.
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