venerdì 4 agosto 2017

KA IL CONCETTO DIVINO DELLA SPIRITUALITA'

Molto spesso durante la spasmodica ricerca d'informazioni siamo costretti a spaziare su panorami che, a prima vista, sembrano distanti anni luce, vuoi per cultura, vuoi per tutti quegli aspetti religiosi che influenzano la sfera umana, poi, però, ci si rende conto che ogni cosa è collegata e riconducibile a un'unica realtà storica. Ciò che unisce i popoli della terra oltre alle molteplici tradizioni, sociali, religiose e industriali, è la sintamantica linguistica. E si resta stupiti quando scopriamo che le antiche comunità di nativi siciliani, che per inciso, gli studiosi considerano primitivi, hanno delle prerompenti connessioni non solo con i popoli mediorientali ma anche con le civiltà orientali che si svilupparono, a partire dal IV millennio a.C. in tutto l'Oriente conosciuto. Una delle sillabe che nel corso della nostra ricerca abbiamo trovato nell'antico linguaggio dialettale siciliana è KA. A prima vista tale sincope appare semplice, poi, però ci rendiamo conto della sua complessità sia da un punto di vista mistico sia esoterico. Ma andiamo per ordine.

 Nella cultura religiosa degli antichi egizi, ad esempio, il concetto di religione non era conosciuto; quindi tutto ciò che abbiamo riportato sopra, nella terra delle piramidi e dei faraoni, non avrebbe nessun senso. Scrive Robert Bauval[1] nel suo libro La camera segreta:

[…] gli antichi egizi non avevano un concetto di religione come tale e, di fatto, nel linguaggio geroglifico non esiste una parola che possa tradursi con - religione -. Dal punto di vista egizio - ha scritto l’eminente filologo A. H. Gardiner - […] possiamo dire che non esiste niente di definibile come ‘religione’, c’era solo He-ka (l’essenza vitale degli dèi), il cui sinonimo più vicino nella nostra lingua è - potere magico –).



Il simbolo di tale essenza, dagli studiosi viene solitamente tradotto come "anima" o "spirito", ed entrava nel mondo dell'esistenza umana quando qualcuno nasceva. Si credeva, infatti, che il dio Khnum, dalla testa di ariete, avesse realizzato il suo Ka su un tornio da vasaio partorendo delle persone. La tradizione egizia racconta che, quando qualcuno moriva, incontrava il proprio ka, perché il Ka in alcune persone continuava a vivere anche dopo la morte, ecco perché, spiegano gli egittologi, i parenti del defunto lasciavano offerte di cibo nelle tombe
In ogni caso esistono dei vincoli esoterici che influiscono sugli stessi concetti mistici di ogni singola rappresentazione mentale del pensiero religioso e gli antichi sacerdoti egizi lo esprimevano utilizzando proprio la magia o il potere magico, che ha influito e non poco sulla cultura occidentale e non a caso hanno una stretta interazione con i culti siciliani. La storia però di questa semplice sillaba sembra che non abbia confini.
Spingendo la nostra ricerca in un contesto globalizzato, interessando le culture orientali, scopriamo che gli aspetti religiosi della nostra particella permeano anche la sfera religiosa delle antiche popolazioni della valle dell’Indo. Infatti, la nostra sillaba (in lingua devanāgarῑ[2]: ) è un pronome interrogativo di origine sanscrita, traducibile in "Chi?" o in "Che cosa? Ma essa è anche un sostantivo maschile che si accompagna al nome di Prajāpati, considerata la "divinità/principio cosmogonico", posta al centro delle riflessioni dei Brāhmana[3] e riconducibile al tardo vedico. Il termine Ka è utilizzato comunemente dalle popolazioni indiane per indicare anche il 121° sùkta (cioè l’"inno", lett. "ben detto") del decimo maṇḍala del Rgveda.[4]





A tal proposito riporto quanto scrisse Fida M. Hassnain,[5] nel suo libro “Sulle tracce di Gesù l’Esseno”, e l’utilizzo che i monaci casmiti fanno a proposito della nostra particella:

[…] sempre in Kashmir, dichiara Hassnain, sarebbero custodite due importanti reliquie appartenute a Mosè: […] una è nota come Assa-i-Mosa, in altre parole il bastone di Mosè, e l’altra è la Ka Ka Pal, in altre parole la pietra di Mosè. Ad Aish-Muqam in Kashmir, sull’alto sperone di una collina, vi è la tomba di Zain Rishi, dov’è conservato, tra le altre reliquie, il bastone, Assa-i-Mosa. Questo bastone di legno viene esposto al pubblico in periodi di calamità, quali inondazioni o epidemie. Alcuni studiosi hanno associato Aish-Muqam con Issa, in altre parole Gesù, e ritengono quindi che questo bastone sia appartenuto a Gesù. In un’opera persiana, il Rishi Namah, in altre parole “il libro che riguarda le tombe dei Rishi (Santi)”, si dice che Issa (Gesù) abbia visitato questo luogo. L’altra reliquia è il Ka Ka Pal, in altre parole la pietra di Mosè, che si trova nel recinto del tempio di Shiva a Bijbehara [n.d.a. o Bijbiara, Vejibyor, oggi è una città dell’India di 19.703 abitanti, situata nel distretto di Anantnag, nello stato federato del Iammu e Kashmir...] […] nel voler verificare la leggenda secondo la quale il Ka Ka Pal può essere sollevato da terra con undici dita. Il custode chiamò undici persone, chiedendo a ognuno di noi di mettere un dito sulla pietra e di recitare le parole “Ka Ka Ka”; seguimmo le sue istruzioni e, con nostra sorpresa, la pietra si sollevò a novanta centimetri da terra. Riprovammo con dieci dita, ma la pietra ovale, che pesa circa 40 chili, non si sollevò. KAh significa “undici” in Kashmir e Kaka significa “persona onorata”, e può riferirsi a Mosè.

E’ sicuramente un episodio molto emozionante, quello raccontato da Fida M. Hassnain e potrebbe anche essere motivo di studio da parte degli esegeti biblici in merito alla figura di Mosè, ma noi sappiamo che i testi sacri indiani sono stati per generazioni tramandati oralmente prima d’essere trascritti, di conseguenza il rituale fatto compiere a undici neofiti, facendogli recitare la formula Ka Ka Ka, lascia supporre che il suo significato mistico, che non è stato mai rivelato, rientrerebbe nel contesto ritualistico e risalente al tempo della presenza degli dèi sulla Terra.
 I risultati, in definitiva, sono così evidenti che si può ipotizzare che: il significato della nostra particella Ka è stata il cardine linguistico di ogni aspetto cosmologico e religioso di tutte le popolazioni euroasiatiche, profondamente legato al concetto divino di ciò che al giorno d’oggi, con il termine Dio, identifichiamo la spiritualità suprema.



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 © 2017 Copyright Angelo Virgillito




[1] Robert Bauval (Alessandria d’Egitto, 5 marzo 1948) è un saggista e ingegnere britannico. Appassionato di egittologia e buon conoscitore del periodo denominato Antico Regno, deve la sua notorietà a un libro, “Il mistero di Orione”, edito nel 1994 e scritto con Adrian Gilbert. Questo best seller cerca di dimostrare che le tre principali piramidi della piana di Giza sono accuratamente allineate come le stelle che formano la "cintura" della costellazione di Orione. La realizzazione dei tre enormi monumenti sepolcrali rientrerebbero in un grande e articolato progetto fatto realizzare dai faraoni nel corso del tempo. Nel libro i due autori, studiando in particolare la piramide di Cheope, formulano anche l'ipotesi che gli antichi egizi conoscessero bene il fenomeno astronomico chiamata precessione degli equinozi.
[2] Devanāgarī, in sanscrito: lett. Scrittura della Città divina), detto anche Nāgarī, è un alfasillabario ("abugida") usato in diverse lingue dell’India (sanscrito, hindi, marathi, kashmiri, sindhi, nepalese). È una scrittura sillabica dove ogni lettera contiene già una vocale inerente schwa, che può essere modificata in altre vocali tramite l'utilizzo di segni diacritici che precedono, succedono o sottostanno alla lettera principale. L'alfabeto bengalese e il suo funzionamento deriva dal Devanagari.
[3] Il brahmano, detto anche bramino o bramano, più raramente bracmano (devanāgarῑ: IAST brāhmaṇa), è un membro della casta sacerdotale del Varṇaśrama dharma o Varṇa vyavastha, la tradizionale divisione in quattro caste (varna) della società induista. Il termine italiano "brahmano" deriva dal latino brachmani (o bragmani), a sua volta ripreso dal greco brakhmânes che adatta in quella lingua il termine sanscrito vedico brāhmaṇa. I brahmani rappresentano la casta sacerdotale e costituiscono la prima delle quattro caste: a loro spetta la celebrazione dei rituali religiosi più significativi.
[4] Il Ṛgveda (devanāgarῑ: ऋग्वेद) è una delle quattro suddivisioni canoniche dei Veda. Il nome può essere reso con “Inni dei Veda” o “Inni della Conoscenza”, essendo il sostantivo ṛgveda composto da ṛc ("inni" o "strofe"), e veda ("sapienza" o "conoscenza"): il riferimento è ai versi recitati durante le cerimonie, (differenti dai sāman, versi cantati).
[5] Fida M. Hassnain è nato nel 1924 a Srinagar, in Kashmir. I suoi genitori erano insegnanti, e suo padre aveva combattuto nell’esercito anglo-indiano nella guerra boera del 1902. Fida Hassnain si è laureato presso l’università del Punjab e presso l’università Mussulmana di Aligar, diventando avvocato. AL momento della spartizione dell’India è venuta meno la sua fiducia nella legge, e dopo un periodo in cui si è dedicato al lavoro nel campo sociale e ai suoi studi creativi, è diventato lettore del S. P. College a Srinagar. In seguito ha vinto la cattedra di Storia e Ricerca. Nel 1954 è diventato direttore degli Archivi Statali del Kashmir e dei musei di ricerca Archeologica, dove ha continuato a lavorare fino al pensionamento nel 1983.

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