lunedì 4 gennaio 2016

L’ASTRO-NAVE CHE SALVŎ MANU, IL NOÉ INDIANO

L’ASTRO-NAVE CHE SALVŎ MANU, IL NOÉ INDIANO




C’è un brano molto emblematico nei versi del Mahabaratha, uno dei testi vedici, che a proposito del Diluvio, il dio Vishnu avverte Manu, il Noè dei popoli dell’India, dell’imminente catastrofe che a breve si sarebbe abbattuta sulla Terra, la cui traduzione recita:

“Il settimo giorno dopo questo i tre mondi affonderanno nell’oceano della dissoluzione. Quando l’universo sarà dissolto in quell’oceano, una grossa nave, che io invierò, verrà a te. Portandoti dietro le piante e i vari semi, circondato dai Sette Sapienti … tu ti imbarcherai sulla grande nave e ti muoverai senza timore al di sopra di quel buio oceano …”


L’allusione è chiara Visnhu avverte il dio creatore Manu, che una grande “astronave” verrà a soccorrerlo per salvare il salvabile, cioè i sette dèi presenti in quel momento sulla Terra, lui stesso e le sementi, i cui semi serviranno per ripristinare le colture agricole, che in seguito avrebbero sfamato le nuove generazioni di umani e di dèi. Ciò che salta all’occhio in questo brano è la frase finale: “ … sopra di quel buio oceano …” e non “sul quel buio oceano”, di conseguenza, la nave, avrebbe veleggiato al di sopra della superficie oceanica, cioè nello spazio (buio oceano = universo). A questo punto è logico ipotizzare che si tratta di una nave “volante”, quindi un’astronave, plausibilmente uno dei tanti Vimana, descritti minuziosamente nei testi vedici. Un brano molto controverso che apre un nuovo dibattito sul significato e sulle traduzioni dell’intero corpo dei testi Vedici. Il sanscrito, la lingua con la quale furono scritti i primi testi vedici, d’altronde, dagli studi compiuti, sappiamo che è una lingua molto antica da cui si sono sviluppate la maggior parte delle lingue orientali, ciò non di meno non tutti gli studiosi concordano con le traduzioni compiute.


Molti brani vedici, se confrontati con altri testi religiosi, ad esempio, manifestano molte affinità con il Libro dei Morti degli antichi egizi ed in particolare con i testi su Osiride. Tuttavia, il più autorevole esperto in materia John Mitchiner, sottolinea l’esistenza di una connessione fondamentale nel pensiero indiano fra i Sapienti e le origini dei Veda:




“I sette Rsi (Sapienti) sono … frequentemente descritti come coloro che li composero, [perché] sono i più competenti, [perché]  hanno una conoscenza suprema dei Veda …”

E chi sono questi Sette Sapienti che Vishnu vuole salvare?  I Veda non lo dicono con chiarezza, di conseguenza sulla loro natura si sono formulate numerose ipotesi. Alcuni ricercatori ipotizzano che essi erano un gruppo di sacerdoti che, scampati alla distruzione della loro civiltà evoluta, si sparpagliarono per il pianeta, per diffondere l’antica conoscenza ai superstiti del genere umano. Altri invece li identificano come dèi. Dal mio punto di vista possono benissimo essere gli stessi Saggi che il dio sumero Enki inviava quotidianamente sulla terraferma per insegnare alle comunità primitive i primi rudimenti della conoscenza. Oppure possono benissimo essere identificati agli Oannes, creature dal duplice aspetto di pesce e di uomini, descritti da Berosso, d’altronde anche nel racconto vedico del Diluvio si parla di un pesce, che soltanto alla fine rivelò la sua vera identità.


Ma se erano dèi  a quale pantheon divino appartenevano? Nei Veda sono descritti numerosi dèi che di tanto in tanto si davano battaglia, proprio come facevano gli dèi sumeri, o come fecero gli dèi egizi Seth e Horus, il figlio di Osiride che per rivendicare il trono, che gli spettava di diritto, sfidò suo zio Seth in una cruenta battaglia. Tuttavia nei testi semitici troviamo scritto che fu la dea Inanna a creare la civiltà nella Valle dell’Indo. Ella era la dea dell’Amore, che in seguito, dopo la morte accidentale di suo marito Dumuzi, causata dal fratello Marduk, figlio di Enki, divenne la dea della guerra. Ma sappiamo anche che, molto spesso, i nomi e gli epiteti degli antichi dèi si accavallano, creando delle serie difficoltà interpretative agli studiosi moderni, una condizione dovuta alla particolare posizione gerarchica nella scala divina dei nomi. Ad esempio Inanna aveva cinquanta nomi, così come Enki, questi solo per citare quelli relativi al pantheon sumerico, ma lo stesso esempio lo possiamo riportare per tutti gli altri pantheon divini, da quello egizio a quello Indù a quello riportato nei testi biblici della Chiesa delle origini, che ancora oggi, è il nocciolo delle discussioni, tra l’altro accesissime, tra gli accademici e gli esegeti di tutto il mondo.



Per quanto antichi siano tali testi dunque, la loro composizione è pressoché impossibile da datare. Eppure le allusioni disseminate in tutti gli antichi testi sanscriti fanno sorgere notevoli dubbi. Lo stesso Gesù all’età di tredici anni lasciò i suoi genitori (Giuseppe e Maria) per unirsi a una carovana diretta a Oriente. Giunse in Kashimir dove visse fino al compimento del ventinovesimo anno di età. Nulla si sà di cosa fece o dove visse Gesù. Esistono molti testi indiani, tuttavia, che annoverano la sua presenza tra gli antichi templi induisti, sparsi sulle montagne del Kashimir, ed è ipotizzabile, a questo punto, che abbia attinto molte delle sue interpretazioni proprio dagli antichi testi vedici.  E un simbolismo che collega i testi vedici con i testi della Chiesa delle origini lo ritroviamo proprio nella figura stilizzata del pesce.



La stessa Torah se confrontata con i testi sacri dei Veda le assonanze e le similitudini sono così tante che è ipotizzabile che l’una è lo specchio dell’altra. Eppure nonostante gli stretti rapporti tra le civiltà mediorientali e quelle della Valle dell’Indo, esse sostanzialmente si diversificano per cultura, per storia e nell’interpretazione dei Karma religiosi. Infatti, se dovessimo porre a paragone la storia religiosa di queste civiltà si ha la sensazione che esse siano guidate da dèi differenti: uno guerrafondaio l’altro più meditativo, quindi meno invasivo nello sviluppo industriale a differenza dell’altro che nonostante i numerosi stermini di interi popoli, accresce le conoscenze al suo popolo permettendogli di progredire.

Ma chi ha ragione l’uno o l’altro? Da un punto di vista dei costi in perdite umane, sicuramente il dio delle popolazioni mediorientali è un sanguinario che, per garantirsi la fede dei popoli, ha indotto gli uomini a uccidersi l’uno contro l’altro, lasciandosi dietro una lunghissima scia di sangue. Eppure sia quello mediorientale sia gli dèi descritti dai Veda parlano d’amore. Un modo del tutto innaturale visto che entrambi questi pantheon divini, nel corso della loro storia, si sono dati spesso battaglia, distruggendo città e sterminando intere popolazioni e i racconti mitici di queste guerre sono minuziosamente descritte nei rispettivi testi sacri.



Se dio è Amore, allora questi dèi in qualunque latitudine essi sono venerati, non possono essere paragonati a ciò che la stessa parola rappresenta, quindi è più plausibile ritenerli creature non terrestri, provenienti da altri mondi o da altri universi, il cui loro unico obbiettivo è il dominio di questo meraviglioso e vitale pianeta.



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Angelo Virgillito

      

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